Laura Paladino, don Luigi Epicoco e il “cuore del tempo”: «Non confondiamo quello del lavoro con quello della festa»

Il tempo di Dio? È tempo per la festa. E anche il tempo per così dire “feriale”, quello che si vive giorno per giorno, quello speso a lavorare, a studiare, a curare la famiglia, a fare sport, a stare con gli amici… insomma, la vita quotidiana, per un cristiano è tempo donato da vivere in prospettiva del tempo della festa.

È la riflessione forte proposta ai giovani del Meeting nell’intensa mattinata del sabato. Una bella iniezione di meditazione biblica e teologica che i due ospiti che prendono posto sul “salottino” nel palasport di Leonessa riescono a comunicare con profondità e al contempo senza annoiare.

Si tratta di due giovani studiosi, ferrati nelle discipline teologiche ma lontane da ogni tentazione “cattedratica: Laura Paladino, classe 1978, sposa e mamma di una bimba, biblista e storica che sin da giovanissima si è dedicata a studiare le Scritture: e don Luigi Maria Epicoco, sacerdote quarantenne del clero dell’Aquila, che insegna alla Lateranense ed è preside dell’Istituto superiore di Scienze religiose aquilano (autore di diversi saggi, un suo libro è stato regalato da papa Francesco ai cardinali al termine degli auguri natalizi alla Curia Romana).

La mattinata si anima di un dibattito sul valore del tempo e della festa alla luce degli insegnamenti della Scrittura e della Tradizione cristiana. Biblista e teologo vengono “provocati” dalle domande dei partecipanti dopo aver offerto, prima lei e poi lui, una sapiente introduzione per chiarire i termini della questione.

Comincia Laura a spiegare che cosa è il tempo per la Bibbia, partendo dal primo capitolo della Genesi, in cui il tempo di Dio nell’atto creatore «non è ripetitivo, va verso un culmine: il settimo giorno della creazione. Dio fa ordine, dà alle creature il tempo. Il tempo nella mente di Dio non è limitato, non è striminzito, è invito a vivere: il dono che ci viene fatto dall’inizio della storia».

È un tempo che culmina dunque nella festa, concetto che arriva già nel quarto giorno della creazione, quando Dio crea i grandi luminari, che servono appunto a scandire la festa.

La parola ebraica utilizzata per “festa”, spiega la biblista ai ragazzi, la intende come incontro e come relazione. Ed è significativo che per tradurre questa parola il greco usi “Kairòs”, quel concetto (già ben ricordato nella prima giornata del Meeting) che è quello con cui nel Nuovo Testamento san Paolo indica l’occasione favorevole della salvezza. Proprio questo, infatti, il senso di fare festa per la Bibbia: «celebrare un momento importante della storia della salvezza», e al contempo «stare insieme e consumare il pasto».

Quella condivisione che è poi alla base della festa cristiana, della domenica, dell’eucaristia. Un’altra cosa importante relativa alla festa, nella Sacra Scrittura, è «il vestito buono, un tema importantissimo nella Bibbia», partendo dalla Genesi in cui Adamo ed Eva, scoperta la loro nudità dopo il peccato, tentano di coprirsi da soli con foglie di fico (“sfruttando” dunque quella creazione di cui sarebbero custodi), mentre «chi fa le vesti dignitose ai due è Dio: fa tuniche di pelle e le dà agli uomini. Sono i genitori che fanno i vestiti per i figli, è segno di amore paterno. Ci sono parabole di Gesù sulla veste. E il segno nella prima grande celebrazione del cristiano che è il battesimo è proprio la veste, simbolo della festa, segno che ritroviamo nell’Apocalisse, nella grande festa nuziale finale, con la Gerusalemme che scende dal cielo adorna come una sposa per il suo Sposo».

E allora: «attenzione a non essere distratti dal lavoro trascurando la festa: la tentazione più grande è pensare che siamo fatti per il tempo del lavoro e invece siamo fatti per il tempo della festa».

E in effetti, ribatte don Luigi, se festa «è tempo dell’incontro, della relazione, del significato, della scoperta di una dignità diversa che viene dall’appartenenza», appare subito la grande contraddizione del Vangelo con la mentalità corrente: «Che vuol dire la parola incontro in un mondo come il nostro malato di individualismo, in cui la cosa più importante non è incontrare l’altro ma interpretare noi stessi?».

Il problema della “mentalità del mondo” è che «colleghiamo la parola tempo con il verbo ‘fare’, non con il verbo ‘essere’. Misuriamo il tempo con le cose che facciamo, e se non facciamo niente diciamo che è una perdita di tempo. Ma l’esperienza del cristianesimo ci dice forse che il tempo è denaro, è legato al fare? Se la nostra vita si realizza solo nelle cose che facciamo, ecco che la festa della domenica diventa soltanto una boccata d’aria nella compulsività del nostro fare. Invece il Vangelo ci insegna che la parola tempo è legata al verbo ‘essere’».
È nel tempo che si è chiamati a scoprire se stessi.

«Il senso della vita è gustare la vita. Mangiamo perché abbiamo bisogno di nutrirci. Ma anche gustiamo il cibo, diventa un alfabeto attraverso cui raccontiamo le nostre relazioni. Abbiamo bisogno di imparare a gustare le cose. Gustare si può tradurre col verbo ‘contemplare’, e in senso più esistenziale ‘dare significato all’esperienza’» È proprio questo, spiega il teologo, il senso di Dio che si riposa al termine della creazione: «non riposo dopo stanchezza, ma dare senso nel gustare le cose dopo averle fatte». Proprio questo è per noi la domenica: «è il giorno del verbo ‘essere’, in cui dobbiamo “perdere” il tempo, fermarci e riscoprire il significato delle cose che facciamo».

E diventa allora un tempo «che salva la vita, non solo in vista della vita eterna, ma ci salva la vita oggi: è in questo presente che Dio mi dà significato in quello che sto facendo!». Il mondo, per don Luigi, «si aspetta da noi la testimonianza di gente che si lascia salvare in quello che stiamo facendo, nella nostra normalità».