Giornata Mondiale del Malato: prendersi cura degli altri con l’esempio del Samaritano e di Maria

«Abbi cura di lui». La chiave della Giornata Mondiale del Malato è tutta nell’istruzione che il Samaritano dà all’albergatore affidandogli l’uomo aggredito che ha soccorso e accudito. L’indicazione della pagina evangelica è all’apparenza semplice, ma densa di significati, come mostrato dal vescovo Vito rivolgendosi a quanti si sono ritrovati nella chiesa di Regina Pacis per vivere insieme la solenne liturgia lourdiana dell’11 febbraio.

A partire dal rovesciamento del punto di vista del mondo sui piccoli, i fragili, gli ammalati che la società tende a scartare, «perché anche nel mistero della sofferenza che vivono, per la loro vicinanza al Signore ci raccontano qualcosa di Dio, ci raccontano qualcosa della vita, qualcosa di noi stessi che spesso ci sfugge o meglio preferiamo non vedere» e per questo sono «le colonne della Chiesa».

Ma la spinta che ciascuno vive è normalmente un’altra. È a prendere la parte del sacerdote o del levita, che vedono e passano oltre. Il Samaritano, invece, entra in dialogo con quel malcapitato che a poco a poco diviene “cura organizzata”, perché lo affida anche ad altri, riportando ancora una volta il discorso nell’orizzonte dell’umano. Poveri e limitati non solo i malati, infatti, ma anche i soccorritori. Agli uomini e alle donne spetta di consolare e sorreggere, ma solo Gesù salva. E non con i muscoli, ma con le piaghe. Salva con la croce.

È una salvezza fuori da ogni logica, ma così è l’amore. Ne dà l’esempio Maria. Le letture del giorno comprendono il racconto della Visitazione, l’incontro tra Maria ed Elisabetta. Appena ha ricevuto l’annuncio dell’angelo Maria non si riguarda, ma si mette in cammino verso una montagna, verso una città di Giuda, a incarnare, a portare consolazione a sua cugina Elisabetta. «Il vero grande segreto di Maria è la sua fede», ha spiegato il vescovo. «Non le era tutto chiaro sin da subito, ma la fede ci fa scorgere anche nel frammento, anche nella piccolezza, l’abitare di Dio in mezzo a noi».

E poi ci aiuta a decentrarci, a concentrare l’attenzione sull’altro, su ciò che davvero conta. A ricordare che «l’unico necessario è Gesù Cristo, che resta apparentemente invisibile in mezzo a noi». È il Dio cantato da Maria nel Magnifica, un Dio schierato, che fa sprofondare i potenti e innalza gli umili dalle immondizie e così facendo «rimettere ancora oggi con i più piccoli, con i più fragili al centro».

Don Vito ha ringraziato tutte le realtà associative di volontariato che si dedicano alla cura degli ammalati, ma ha ribadito: «Non dipende da noi. Non siamo noi a portare aiuto e salvezza. Siamo noi invece a ricevere da loro l’aiuto e la salvezza. Pensiamo di poter fare qualcosa per gli altri e invece sono questi altri a mostrarci il segreto della vita che spesso perdiamo nella quotidianità del nostro vivere, attratti da tanti falsi diari che poi svaniscono, soprattutto quando siamo a contatto anche noi con il mistero del dolore e della sofferenza».

Una condizione ci si affronta innanzitutto con il silenzio. La domanda dei fragili è infatti semplicissima, ma ci inchioda: “Perché Signore?”. «Non è un caso che il figlio di Dio è morto anch’egli un giorno con la stessa domanda sulle labbra e nel cuore. Non era solo il suo perché, non era solo la sua domanda, era il perché di tanti, il perché di tutti quanti noi quando la vita si fa vera e noi nella verità cerchiamo di viverla e di compierla».

È però impossibile rispondere da soli al “perché” del dolore, della sofferenza, della morte. E per questo guardiamo all’intercessione di Maria che «ci invita ad affidarci: anche quando le risposte umane non arrivano si può coltivare sempre e comunque una speranza che non ha nulla a che fare con l’illusione che a volte noi stessi o altri diamo alla nostra vita».

Farsi ministri di speranza, «soprattutto per i tanti che non hanno a chi affidare la loro vita»: questo l’invito fatto dal vescovo a ciascuno, ricordando che «Il cristiano non è un eroe e Dio non ci giudicherà sui quintali di cose fatte», ma sui piccoli gesti di carità che sapremo fare in suo nome. Essere cristiani nella storia, è stare al mondo «con il cuore del buon Samaritano, che riconosce quanti si sono curati di lui ed è capace a sua volta di prendersene cura. Solo così non solo la Chiesa, ma anche la società cambia e diventa finalmente umana. Che poi l’unico modo per sentirsi degni di Dio».