Un episcopato che inizia nell’abbraccio

Difficile riassumere in pochi paragrafi una giornata come quella dell’ordinazione episcopale del vescovo Vito. Difficile per eccesso: non tanto di fatti, ma di umanità. Quella del nuovo pastore, che i reatini hanno subito mostrato di saper riconoscere, ma anche dei tanti che lo hanno accompagnato all’inizio del suo nuovo incarico: la comunità ecclesiale che l’ha accolto e organizzato ogni aspetto dell’evento, impegnando tantissime persone, ma anche i tanti giunti in città dalla Puglia, e non solo, testimoniando un affetto autentico che non verrà meno. «È una grande perdita per noi, ma un grande acquisto per la vostra Chiesa», spiegano tutti. Nei loro occhi s’intravede la malinconia del distacco, ma sopraffatta dalla gioia di chi sa di portare in dote un dono prezioso.

Le prescrizioni per organizzare la giornata sono state da grande evento e di conseguenza hanno richiesto il contributo di moltissime persone per ragioni pratiche, oltre che ecclesiali. E a dispetto degli inciampi a prevalere è stata la voglia di fare, il gusto di riuscire nonostante tutto. Quella del 21 gennaio sarà forse ricordata tra le giornate più fredde di quest’inverno, ma è stata riscaldata dal cuore, dall’intelligenza e dalle mani di chi ha disposto e fatto funzionare ogni aspetto, di chi ha pensato a preparare i migliaia di cestini necessari per garantire un minimo di ristoro ai partecipanti, di chi ha adeguato una cattedrale-cantiere minimizzando il disagio. Generosa anche la stampa, che pur dovendo fare i conti con prescrizioni rigide ha investito moltissime risorse per raccontare e far giungere a lettori e telespettatori l’immagine, le parole, la personalità del nuovo vescovo.

La sua giornata è iniziata con un momento intimo e privato di preghiera a Greccio, nella grotta del presepe, condiviso dai soli frati. Senz’altro un modo per chiedere un aiuto dall’alto, per organizzare i moti del cuore, per mettere in ordine le emozioni. Un passaggio di puro raccoglimento, come a dire che anche i silenzi hanno un senso, che non tutto si può circoscrivere con le parole, che viene prima chi non ha voce e dunque prima lo Spirito, che parla diritto all’anima in modo ineffabile, senza farsi ingabbiare dalla sintassi; e i poveri, i malati, i marginali ai quali non si presta abbastanza attenzione. «Per me sono le colonne della Chiesa», spiegherà al don Vito abbracciando alcuni disabili in San Domenico, durante il giro di saluti a quanti hanno seguito la sua ordinazione su maxischermo. Stessa cosa in Sant’Agostino: un turbinio di strette di mano, di abbracci, di emozioni che annunciano una Chiesa dal cuore aperto, che fa dell’ascolto la radice dell’annuncio.

A un passo dal suo ingresso in Cattedrale, è stato lo stesso vescovo a spiegarlo durante i saluti istituzionali in Comune, spiegando di voler ascoltare prima di prendere la parola, e poi lavorare insieme per un’accoglienza reciproca, che pone le condizioni per il superamento di tutte le fragilità.

Nel frattempo, la Cattedrale è già piena: in prima fila nella navata destra prendono posto le autorità, tra cui il ministro degli Esteri Antonio Tajani, l’assessore regionale Claudio Di Berardino e tutti i sindaci del territorio diocesano, mentre dalla terra di Piccinonna non mancano il sindaco di Bitonto e il vice sindaco di Modugno. In quella di sinistra ci sono i familiari, gli amici, i compaesani di Palombaio, i rappresentanti delle diverse realtà in cui ha operato da sacerdote. Nelle cappelle, i rappresentanti delle parrocchie, delle aggregazioni laicali, degli organismi pastorali. Le suore occupano il transetto dinanzi alla Madonna del Popolo, la cui immagine campeggia anche dietro l’altare maggiore, riprodotta su un telo che copre l’impalcatura del cantiere di restauro dell’abside. Il nutrito coro diretto da suor Giuditta trova posto nel transetto destro. La navata centrale è per il clero, con preti e diaconi già sistemati quando entra la processione d’ingresso con tutti i vescovi. Piccinonna procede all’inizio, “scortato” dai due confratelli baresi scelti per assistenti del rito. Alla cattedra, fino al suo insediamento, presiede l’arcivescovo della sua Chiesa natale di Bari-Bitonto, affiancato dai due co-consacranti principali, il predecessore Domenico Pompili e il suo grande amico arcivescovo di Napoli, don Mimmo Battaglia.

Sono loro i primi a imporgli le mani durante il suggestivo rito di ordinazione. Poi il cardinale Marcello Semeraro, conterraneo dell’ordinando, quindi l’emerito barese Francesco Cacucci e il suo compagno di studi albanese Gjergj Meta. Saranno questi ultimi due, a fine liturgia, ad accompagnarlo nel giro benedicente lungo le navate al canto del Te Deum. I vescovi presenti, una trentina, lo accolgono nel collegio dei successori degli apostoli. Un grande applauso saluta in momento in cui, dopo la preghiera consacratoria, ricevuto il libro dei Vangeli, l’anello episcopale, la mitria e il pastorale, monsignor Piccinonna viene insediato sulla cattedra di san Probo, da cui presiede la celebrazione, fino alla benedizione conclusiva.

Il ringraziamento finale di don Vito è lungo per forza di cose: com’è nel suo stile non vuole dimenticare nulla e nessuno. E poi è un momento prezioso per spiegare la sua visione di Chiesa, la sua voglia di alimentare la speranza, il suo sentirsi accolto e già reatino. Tra le attenzioni, quella per le vocazioni da cui proviene un gesto simbolico: consegnare alla diocesi una lampada «che ogni settimana passerà di parrocchia in parrocchia a cominciare dalla Cattedrale» simboleggiando la preghiera per le vocazioni che invita a intensificare.

Lunghi applausi aiutano a sciogliere le emozioni e aprono il momento della festa, l’aria si fa più rilassata. Abbracci, canti e tanti video e fotografie da fare con il telefonino per fissare il ricordo della giornata. Un vero e proprio bagno di folla prima del rientro in episcopio. Tra le tappe, quella all’Hortus Simplicium, il giardino sotto l’episcopio dove con i sindaci di Rieti e Bitonto viene messo a dimora una bella pianta di ulivo, dono della terra natale particolarmente evocativo per don Vito, porta la pianta anche tra i simboli del suo stemma episcopale per dire di un radicamento nelle cose della terra capace di guardare al cielo. Un segno che nel giorno dell’ordinazione don Vito ha mostrato di saper ben interpretare fin dal primo passo nella Chiesa reatina, quello nella parrocchia di San Michele Arcangelo, alle porte della città, dove ha simbolicamente ricevuto il primo saluto della comunità ecclesiale che lo ha accolto.