Restiamo umani

Restiamo umani (Rieti 20.11.2015)

    Siamo qui a una settimana esatta dai tragici fatti di Parigi perché vogliamo restare umani. Il pericolo esiste perché la ferocia belluina di quelle uccisioni, di cui abbiamo ascoltato l’orrendo audio procurato da una vittima salva per caso, rischia di fomentare gli istinti più biechi. Il primo istinto è quello di perdere la fiducia nell’altro che incontriamo per strada. Di notte come di giorno una presenza dovrebbe essere rassicurante, ma ormai è quasi una minaccia. Anche nei nostri centri di provincia non ci si sente più al sicuro fuori di casa. Eppure siamo qui perché non vogliamo farci ibernare dalla paura e dalla sfiducia. Non possiamo permettercelo giacché l’uomo non è fatto per vivere da solo e tantomeno con l’angoscia di incontrare qualcuno dietro l’angolo. La prima vittoria del terrorismo è la semina a piene mani di questo sentimento istintivamente comprensibile, ma deleterio alla lunga perché rischia di scardinare le condizioni di una vita umana e compromette stili e ritmi di vita che non possiamo perdere.
Che fare? Quello di stasera è solo un piccolo segno. Reagire insieme. Tutti, senza distinzione. Credenti e non credenti. Cattolici e musulmani, avventisti e ortodossi. Non c’è possibilità di venirne fuori da soli, ma insieme. Alle istituzioni chiediamo meno allarmismi e più azioni volte a garantire quello che è umanamente possibile.
Ci sono due cose però che come società civile dobbiamo insieme ricostruire per alimentare la fiducia al netto del terrore, per reagire allo scoramento e alla insicurezza. Sono due aspetti della vita che spesso vivono contrapposti ma sono, in realtà, un sostegno l’una per l’altra. Mi riferisco alla ragione il cui sonno genera mostri e la fede il cui letargo produce tragedie.
La ragione, anzitutto. Cioè la capacità di interrogarci su quello che sta accadendo senza cedere a falsi buonismi ma neanche ad astute contrapposizioni. Terrorismo a Parigi vuol dire non chiudere gli occhi sui 33 conflitti oggi in corso lungo il pianeta. Significa non evitare di chiedersi a chi giova tanto mercato di armi. Vuol dire intenerirsi per Parigi senza dimenticare le 41 persone e i 200 feriti che l’Is grazie a due kamikaze ha prodotto a Beirut appena qualche giorno prima. Così come andando indietro nel tempo non si può uscire in piazza per le 247 nigeriane che le canaglie di Boko Haram ha sequestrato e poi dimenticare i 146 kenioti trucidati a Garissa dagli assassini somali di al Shabab. Certo le reazioni possono essere differenti ma il quadro di riferimento non può essere a senso unico. Ne va della comprensione della situazione che richiede una ragione vigile e non assopita.
Ma non basta neanche la sola ragione per sbrogliare la matassa complicata del terrorismo che di volta in volta colpisce gli occidentali anche in vacanza, ma non risparmia gli stessi islamici quando non corrispondono ai loro farneticanti obiettivi.
Ci vuole un supplemento di intelligenza che nasce dalla fede. Si dirà che proprio di questa bisognerebbe fare a meno. Come ha scritto Liberation in questi giorni a proposito dell’hashtag #prayforparis, con violenza inaccettabile: ”Amici del mondo intero, grazie per #prayforparis, ma noi non abbiamo bisogno di più religione. Noi crediamo nella musica, nei baci e abbracci, nella vita, nello champagne e nella gioia”, conclude l’editoriale. Come far sapere a Luc Le Vaillant che in realtà la religione non è contro la musica, i baci, gli abbracci, la vita, lo champagne, la gioia? E che anzi chi crede è un potente alleato di questi attimi di umanità?  
Sicuramente la testimonianza dei credenti è decisiva. E non basta chiedere perdono per sedicenti uomini e donne religiosi che si sono macchiati di certi crimini. Ciò che però va evitato è anche la persuasione che come canta nella sua struggente canzone J. Lennon “no religion too” sia la risposta alla violenza. Se salta anche la fede che è la fiducia di base nella vita e nei propri simili salta anche qualsiasi possibilità di ritrovare la strada dell’incontro. Anche perché la ragione lasciata a se stessa produce nefandezze e semina morte.
Non resta che far appello a quello zoccolo duro di umanità che c’è in ognuno e che resiste anche alle violenze più disumane. Come si ricava dal messaggio inviato da un giovane sposo all’indirizzo degli attentatori: 
“Venerdì sera avere rubato la vita di un essere eccezionale, l’amore della mia vita, la madre di mio figlio, ma non avrete il mio odio. Non so chi siete e non voglio neanche saperlo , quello che so è che siete anime morte. Se questo Dio per il quale voi uccidete ciecamente ci ha fatti a sua immagine, ogni pallottola nel corpo di mia moglie sarà stata una ferita nel suo cuore.
Quindi non vi farò il regalo di odiarvi. Voi l’avete cercato, tuttavia rispondere all’odio con la rabbia sarebbe cedere alla stessa ignoranza che ha fatto di voi quello che siete. Voi vorreste che io abbia paura, che debba  guardare i miei concittadini in maniera diffidente, che io sacrifichi la mia libertà per la sicurezza. E’ una battaglia persa.
L’ho vista stamattina. Finalmente dopo notti e giorni d’attesa. Era così bella come quando è uscita venerdì sera, bella come quando mi innamorai perdutamente di lei 12 anni fa. Naturalmente sono devastato dal dolore, vi concedo questa piccola vittoria, ma durerà poco. So che lei ci accompagnerà ogni giorno e che ci ritroveremo in quel paradiso di anime libere al quale voi non accederete mai.
Siamo due, io e mio figlio, ma siamo più forti di tutti gli eserciti del mondo. Non ho altro tempo da dedicarvi, devo andare da Melvil che si risveglia dal suo pisoloino. Ha appena 17 mesi e farà merenda come tutti i giorni e poi giocheremo insieme come tutti i giorni e per tutta la sua vita questo piccolo vi farà l’affronto di essere libero e felice. Perché no, non avrete mai neanche il suo odio”