«La situazione non è rosea, ma neanche nera». A partire da questo presupposto il vescovo Domenico ha rivolto il suo consueto Discorso alla Città durante i vespri nella solennità di santa Barbara, patrona della diocesi e della città di Rieti. Un modo per dire che non bisogna lasciarsi sopraffare dal «canto delle sirene del “va tutto male, nulla cambierà mai”», ma cogliere i dati positivi e le risorse che al territorio non mancano.
E prima di quelle materiali, vengono quelle umane: se «Rieti soffre, ma meno di altre città del Lazio – sottolinea don Domenico – è perché resiste ai processi di disgregazione sociale ed economica in virtù di un tessuto familiare che ancora tiene». È però necessario sostenere questo «territorio a misura di famiglia», preservare cioè il suo tratto «gentile», che consente «un’esistenza armonica, in grado di far crescere i figli senza paura e di far vivere gli anziani senza ansia».
Un’impresa che può riuscire se «noi per primi» riconosciamo di abitare in «un unicum ambientale-culturale-religioso che ha nella natura il suo contesto, nella cultura la sua matrice, nella fede la sua radice». Da tale consapevolezza, ha infatti spiegato il vescovo, «può svilupparsi una “rivoluzione gentile” che mobiliti i singoli – giovani e adulti, donne ed uomini – così da svecchiare abitudini consolidate e superare chiusure mentali e/o fisiche, ormai anacronistiche». E seguendo questa linea di ragionamento, mons Pompili ha indicato tre dimensioni concrete da «assecondare», ma guardando «non a domani, ma ai prossimi anni».
Partendo dall’ambiente, il vescovo ha indicato nell’acqua il tesoro da valorizzare, tornando a sostenere il «progetto sensato», all’interno del previsto raddoppio del Peschiera ad opera di Acea, di «un’esposizione permanente delle acque in grado di far dialogare natura e tecnologia», ma anche di «assicurare uno sviluppo del territorio, in linea con i suoi standard di qualità».
Sul piano culturale è invece il mondo degli studi a sollecitare l’attenzione, con l’urgenza di trovare per la Sabina Universitas «una sede coerente con il contesto storico della città». La proposta è quella utilizzare il «restaurato Palazzo Aluffi, dinanzi alla Cattedrale», come già sostenuto dal nuovo presidente della Provincia: «Così i giovani studenti potranno respirare l’antico e il centro potrà essere ringiovanito». Il tutto senza dimenticare «la scuola secondaria e primaria che vanta una solida tradizione educativa va aiutata tempestivamente nelle sue difficoltà logistiche, a seguito del sisma».
C’è poi il piano religioso, per il quale «la traccia di san Francesco è la via per tornare al Vangelo sine glossa, che è e resta ciò che interessa tutti, rispetto all’indifferenza verso Dio e all’ostilità verso la Chiesa». Ne può essere trascurato che «il cammino di Francesco è pure la strada per superare campanilismi atavici che rendono irrilevante il nostro territorio, come dimostra in positivo l’iniziativa appena avviata della seconda edizione della “Valle del Primo Presepe”».
La città “gentile” proposta dal vescovo Domenico, dunque, non ha tanto una connotazione ideale, ma concreta e attuale. «Gentile è il termine che più si avvicina a quel concetto di smart city che potrebbe essere un traguardo accessibile per Rieti e il suo territorio, collocata come è a metà strada tra Roma e Ascoli, tra Roma e l’Aquila, tra Roma e Terni».
È saper interpretare questa centralità la «rivoluzione gentile» che ha in mente don Domenico: una rivoluzione che procede «dal basso e senza violenza». Un movimento simile a quello «che fece del cristianesimo la nuova civiltà sulle ceneri dell’Impero romano».