A trenta giorni dal sisma, mons. Pompili: «ascoltare senza fretta il dolore che permane e logora tutti»

«In questo interminabile mese che ci lasciamo alle spalle mi sono chiesto spesso che cosa ci direbbero quelli che non sono più tra noi. Non ho trovato una risposta puntuale, se non immaginaria. Ho percepito però un grido che sale dalle tante, troppe, vittime di questo evento catastrofico: non siate superficiali!».

È l’esortazione del vescovo Domenico durante la messa nel trigesimo del terremoto che ha sfigurato il volto di Amatrice e Accumoli: «Non separate mai la giovinezza dalla vecchiaia, l’istante dall’eternità, l’energia dal senso: in altre parole la vita dalla morte. E oggi ce lo ripetono sommessamente: non commettere l’errore di riprendere tutto come se nulla fosse accaduto! Qualcosa è cambiato e definitivamente».

«Ma non è l’ultima parola» ha aggiunto il vescovo. «“Insegnaci a contare i nostri giorni e acquisteremo un cuore saggio”, ci ha fatto pregare il salmo 90».

«Di quale cuore si tratta? Di un cuore che sa ascoltare senza fretta il dolore che permane e logora tutti, introducendo a piene mani stanchezza, impotenza, rabbia. La saggezza, al contrario, ci fa lucidi, vigilanti, sobri. E ci invita a camminare rasoterra senza smettere di guardare in alto. Dobbiamo riprendere a camminare così. Lo dobbiamo, anzitutto, a questa bambina che sta per essere battezzata, ma anche a questi luoghi che già hanno conosciuto l’abbandono e non meritano il deserto».

«Ce la faremo?», ha ricordato don Domenico, è «la domanda che serpeggia nell’animo di tutti i sopravvissuti». Per rispondere il vescovo riprende la pagina del Vangelo di Luca, nella quale il Maestro, «ben consapevole di ciò che lo attende, incalza i suoi amici che sono distratti e indolenti con parole sferzanti: ”Mettetevi bene in mente queste parole: il Figlio dell’uomo sta per essere consegnato nella mani degli uomini”».

«Sì – ha concluso mons. Pompili – anche noi stiamo per essere consegnati nelle mani degli uomini. Più concretamente, nelle mani delle istituzioni che ci hanno assicurato che questi luoghi torneranno a vivere come e meglio di prima. Ma anche nelle mani di chi dovrà tradurre questo impegno senza lasciarsi fuorviare da altri interessi. E soprattutto nelle nostre mani che non possono restare inerti o nostalgiche, ma debbono ritrovare l’energia e la voglia di ricostruire insieme. Soltanto così il soffio vitale che c’è in ognuno di noi tornerà a far risplendere il sole su questa terra».