Terremoto: sacerdoti sempre sul posto, anche per i beni culturali

Non c’è solo la cura spirituale nell’orizzonte dei sacerdoti delle aree terremotate. Tanto impegno viene quotidianamente speso nella salvaguardia delle chiese e dei beni culturali e religiosi. Ma in fondo, anche questo cura le anime e porta consolazione

Sono ancora tante, ad Amatrice, le chiese in attesa di essere raggiunte per mettere in salvo i quadri, gli arredi, le reliquie. «Anche oggi sono stato ad Amatrice, è tornata la neve. Ha cominciato a fioccare verso le 11, ma era previsto». Mons Luigi Aquilini, classe 1932, di Amatrice è un po’ la memoria storica, e per questo la diocesi lo ha voluto in prima fila per quanto riguarda l’attenzione ai beni culturali e religiosi dopo il terremoto. «Non tutto è distrutto – ci spiega – ci sono chiese con pochi danni, che potrebbero essere recuperate per prime. Anche direttamente dalla diocesi, ovviamente seguendo le indicazioni del ministro per i Beni Culturali. Ci sarebbe anche qualche privato disposto a contribuire».

Un museo ad Amatrice

In realtà nell’area del terremoto nulla può essere dato per scontato. La fatica delle istituzioni nella salvaguardia del patrimonio, si traduce nella delusione della gente, che è mossa da un grande affetto per i luoghi di culto. Anche per questo la Chiesa locale sta ragionando sull’idea di creare uno spazio museale, verso cui convogliare i pezzi più pregiati del molto che è stato recuperato in questi mesi: «sarebbe un modo per esprimere continuità, per far vedere in modo chiaro che non abbiamo perduto tutto» spiega mons Aquilini: «non è bene che le opere rimangano troppo tempo nei magazzini che le hanno accolte dopo il sisma. La gente è già tanto sfiduciata. È vero che non siamo immobili, ma è anche necessario dare visibilità alle azioni compiute».

Recuperare non è facile

D’altra parte, anche se i magazzini sono pieni, c’è comunque tanto ancora da recuperare. Solo di recente, ad esempio, si è potuto trarre in salvo i beni conservati nella cappella dedicata a san Giuseppe da Leonessa nell’ospedale Grifoni. Altri oggetti, invece, restano in coda. Come il Crocifisso Ligneo del Quattrocento, ritenuto miracoloso, custodito nella chiesa del complesso delle Ancelle del Signore, dove il 24 agosto hanno trovato la morte, tra gli altri, tre suore. «Certe cose bisognava tirarle via prima – dice con rammarico don Luigi – ci sono anche altre cose, compresi alcuni archivi. Dopo sei messi di scosse è tutto più complicato. D’altra parte la terra non ha mai smesso di tremare e questo non ha certo agevolato gli interventi».

Un po’ di scollamento

Queste difficoltà, del resto, sono sperimentate dalla stessa popolazione: in tanti avrebbero ancora delle cose da salvare tra le macerie delle proprie case, ma a guardare la zona rossa viene da disperare di riuscirci. Ne consegue un clima di sfiducia, che gli operatori sentono come una incomprensibile ostilità, visto che la mettono tutta per salvare il salvabile, nonostante i pericoli e il clima inclemente.

«Ma si può capire l’umore delle persone – precisa don Luigi – alla fine, sui beni culturali come sulle cose private, lo Stato dispone il ragionamento e l’azione sotto un profilo tecnico, nei casi migliori con un taglio culturale; per la gente è un problema affettivo, sono attaccati alle cose da una relazione profonda: sanno fare l’elenco degli arredi di una chiesa perché magari quegli oggetti li hanno comprati i loro nonni. È dura sentirsi dire “lei non può toccare niente”. È vero che lo scopo dello Stato è quello di garantire la tutela, ma da questo nasce anche un po’ di scollamento».