Pubblichiamo integralmente il discorso rivolto dal vescovo Vito al Consiglio comunale di Rieti
Egregio Presidente del Consiglio comunale,
Gentilissimi Signori Consiglieri,
Egregio signor Sindaco,
Gentilissimi Assessori,
permettetemi di salutarvi fraternamente e con viva cordialità.
Grazie del vostro invito!
Vengo in mezzo a voi desideroso di condividere il cammino, la storia, la bellezza della nostra città di Rieti. Dico volutamente nostra, perché dal giorno in cui il Santo Padre mi ha nominato Pastore della Chiesa di Rieti, mi sento parte di questa città come pure sento la città parte di me. Sento in me e su di me tutta la responsabilità di guidare i fedeli che sono soprattutto cittadini di questa terra.
Quando nei giorni scorsi pensavo a questo nostro incontro mi sono venute subito diverse suggestioni che vorrei affidarvi, in punta di piedi:
– Una prima suggestione la prendo in prestito dal grande Papa Paolo VI. Papa Montini, nella Octogesima Adveniens al n. 46, scriveva: «La politica è una maniera esigente di vivere l’impegno cristiano al servizio degli altri». Dato che credo fortemente al valore della laicità, direi che l’impegno non riguarda solo i cristiani, ma tutti. La politica (quella con la P maiuscola) o è al servizio degli altri o non è; e il servizio richiede una forte carica di valori, direi di “spiritualità” intesa in senso ampio. La logica del servizio aiuta ad evitare la trasformazione dell’agire politico in esercizio di potere. Certamente non è cosa semplice e scontata. C’è bisogno di un grande senso di auto vigilanza, facendo leva anche sulle risorse migliori della propria coscienza.
-Una seconda suggestione la racchiudo nella categoria della coerenza. Penso sia la cifra segreta di chi si impegna in politica. Non si può essere, avere valori, pensare in un determinato modo e poi nell’attività di impegno politico fare tutt’altro. Pur rispettando il legittimo pluralismo che il tempo, la storia e il contesto prevedono, urge una testimonianza personale e collettiva della serietà delle nostre persone, delle nostre convinzioni e dei nostri ruoli. Coerenza fra ciò che uno crede e ciò che poi fa. Per dirla con il beato giudice Livatino «Alla fine della vita non ci sarà chiesto se siamo stati credenti, ma se siamo stati credibili».
-Una terza suggestione la connoto col dire la persona al centro. Ognuno di noi, nei propri ruoli e funzioni non può non mettere la persona al centro della propria attività. Mi ha sempre sedotto e accompagnato la parabola del buon Samaritano (cfr. Lc. 10). È la stessa che i Padri del Concilio Vaticano ll ebbero dinanzi nel delineare la missione della Chiesa nel mondo contemporaneo, nel porsi a servizio dell’umanità intera, volendone condividere le gioie e le speranze come pure le tristezze e le angosce di tutti, dei poveri soprattutto (cfr. GS 1): è quanto ho voluto richiamare anche nel mio motto episcopale Gaudium et Spes. Orbene nella pagina evangelica del buon Samaritano c’è l’uomo malcapitato e altri tre uomini: il sacerdote, il levita e il samaritano. Questi tre hanno modi differenti di agire. Due non si fermano davanti a chi è quasi mezzo morto sul ciglio della strada, pur avendolo visto. Il samaritano, invece, vede e si ferma, non passa oltre. Si ferma e fa tutto quello che sappiamo. Il samaritano si sporca le mani, non si rifugia nei suoi affari privati, non tira dritto facendo finta di non vedere o girando la testa dall’altra parte. Si fa prossimo. Si accosta all’uomo, condivide la sua esperienza e pur cosciente di non poter rispondere da solo in tutto alle sorti del malcapitato investe il meglio del suo ingegno, e, con una creatività collaborativa e coraggiosa, pagando anche di persona, “organizza la speranza”. Sì, la speranza non va solo auspicata ma anche organizzata!
Queste tre brevi, piccole suggestioni vi consegno nel pieno rispetto delle vostre persone e del vostro servizio politico come motivo di riflessione personale e collettiva di tutta la vostra assise.
Da quando sono qui a Rieti, come vi ho detto dai primi incontri, sono in ascolto. Sto incontrando bambini, anziani, associazioni di volontariato, sacerdoti, religiosi, religiose, malati, istituzioni, giovani, famiglie, gente comune. Voglio ascoltare tutti, abbiate perciò un po’ di pazienza se i miei tempi non sempre coincidono con le aspettative di tutti. E voglio ascoltare molto per essere il più fedele al compito e alla missione ricevuta, ai desideri di autentica felicità e bene-essere che albergano tanto nel cuore dei singoli quanto in quello della collettività. Come il buon padre di famiglia che non vuole lasciare fuori nessuno. Anzi, se qualcosa mi sfugge fatemelo presente! Come io stesso mi sentirò di fare con voi, soprattutto quando coloro che più mi sono a cuore, le nuove generazioni e i più poveri, dovessero essere dimenticati o messi da parte.
Da alcuni giorni, mi torna in mente spesso una immagine: in questa bella città ci sono tante tessere preziose, belle, eleganti ma non automaticamente queste formano un mosaico! Talvolta si è anche volutamente distanti. E invece vorrei invitarvi con coraggio ad adoperarci sempre, insieme, per la formazione del mosaico, nella certezza che nessuna tessera sarà dispersa, anzi sarà necessaria e dentro un significato più ampio.
C’è tanta bellezza naturale! Sono sorpreso dagli Appennini che circondano il nostro territorio; da uomo del Sud-uomo di mare mi meraviglio ancora in questi giorni a scorgere la neve sulle vette; per non tacere la ricchezza idrica che ho voluto richiamare anche nel mio stemma episcopale. Il creato è anche espressione di ciò che siamo noi uomini e donne, della nostra interiorità. Adoperiamoci per custodire e mantenere sempre rigoglioso il nostro ambiente. Vigiliamo perché nessun interesse parziale abbia a danneggiare l’interezza di questi beni che ci devono vedere saggi custodi e mai mediocri possessori.
Registro una significativa e vivace presenza dell’associazionismo culturale e sociale. Le realtà sportive risultano chiaramente dimensioni importanti che impreziosiscono la socialità. Necessarie e insostituibili le diverse espressione del volontariato. Da Pastore di questa Chiesa reatina ho voluto, tra i primi impegni, visitare il reparto di neonatologia, l’hospice e alcune RSA: per dire la mia attenzione all’intero arco della vita di ciascuno, da chi nasce a chi vive l’ultimo momento della vita. Proprio la vita più fragile ha bisogno di tutta la nostra attenzione. Ho incontrato realtà bellissime che si occupano di disabilità con diverse gradazioni, assieme a diversi volontari e soprattutto familiari che mi hanno consegnato il desiderio di farmi vicino pensando anche al futuro di queste realtà e , dunque, di questi figli che sento come miei figli e carne della mia carne. Vi invito, come Amministrazione, a mettere in campo tutte le risorse possibili per promuovere questi beni, queste persone. Da qui l’impegno a fare e ad essere rete, investendo anche le migliori risorse. Facciamo nostro il convincimento che papa Francesco specie con la Laudato Si’ non smette di affermare: Tutto è connesso. Siamo tutti connessi. E allora rafforziamo sempre di più e sempre meglio questa connessione; promuoviamo sempre più la sussidiarietà circolare. C’è tanto bene che si fa, c’è tanto bene che si può fare ancora di più. Fare bene il bene è stato uno slogan che mi ha accompagnato tanto negli anni scorsi nei miei precedenti impegni pastorali e non sento di abbandonarlo proprio ora, anzi!
Soprattutto c’è tanto bene che possiamo fare insieme. E il bene comune è sempre diffusivo. Impegniamoci ad aiutare tutti, ma proprio tutti, senza alcuna distinzione. Non dimentichiamo le persone che fanno fatica a vivere. Ricordiamoci dei poveri!
In alcuni colloqui o riunioni ho scorto una certa rassegnazione riguardo alla vita dei giovani. Da quello che mi hanno riferito, sempre poco ancora per il tempo, i giovani si allontanano dalla nostra terra. Ci sono sicuramente tanti motivi dietro questa scelta. Ma vorrei che ci impegnassimo tutti quanti a donare alle giovani generazioni, bambini, ragazzi, giovanissimi, giovani, tutto il bene, l’attenzione, la cura possibile. Se proprio devono allontanarsi da qui almeno avremo la consapevolezza che dove andranno porteranno il meglio di loro stessi e il meglio di questa nostra terra. Per questo motivo, mi permetto di invitare l’Amministrazione in primis e tutte le agenzie educative a promuovere e ad attivare percorsi di promozione umana, formativa, professionale che possano fornire gli strumenti idonei ai giovani per essere protagonisti e attori di un futuro meraviglioso al servizio di una crescita comune. Di tutti. Andiamo oltre i soliti stereotipi del tipo “i giovani sono il nostro futuro”. No, sono il presente! Il futuro inizia adesso. E che non capiti a noi adulti di essere, a causa di disimpegno o di eccessiva autocentratura, i facilitatori della loro fuga.
Vi esorto fortemente, sindaco, consiglieri e assessori a sostenere molto la scuola. Il percorso scolastico è l’iniziazione all’essere cittadini consapevoli. Soprattutto una scuola che sappia intercettare i ragazzi più fragili perché “Se non riesce a recuperare gli alunni più svantaggiati, la scuola diventa come un ospedale che cura i sani e respinge i malati” (don Lorenzo Milani).
Il nostro territorio presenta la profonda ferita del terremoto. Nonostante non fossi in quel momento in questa terra, sento che quelle ferite provocano anche in me tanto dolore. Ritengo che dobbiamo mettere un surplus di speranza. Dobbiamo contribuire tutti a ri-costruire quei luoghi, quegli spazi che sono per noi. Accanto alle pietre, permettetemi, dobbiamo impegnarci a costruire-e ricostruire l’uomo e le sue relazioni. Cerchiamo di riscoprire la nostra identità.
Siamo cittadini di Rieti, rafforziamo la fierezza dell’essere reatini. Non scoraggiamoci. Sarà faticoso, ma sarà una esperienza bellissima, se specialmente lo faremo tutti insieme. La vicinanza della capitale non diventi mai un alibi per diminuire l’impegno per questo territorio e per quanti vi abitano. Scopriamo e costruiamo insieme l’autentico protagonismo di questa terra, senza fughe e senza mostrarci rinunciatari.
Cogliamo questo tempo di ri-costruzione come una opportunità per rifocalizzare il nostro esserci in questa terra, in questa regione, nel nostro Bel Paese. Siamo l’ombelico d’Italia. E come più volte ha avuto modo di dire il mio caro predecessore, mons. Domenico Pompili, l’ombelico ci richiami sempre anzitutto al valore delle relazioni con tutti e tra tutti, senza dimenticare nessuno, adoperandoci coralmente perché maturi una visione che dica chiaramente chi siamo e dove vogliamo andare, costruendo con coraggio quella che è l’unica comunità di destino.
Adoperiamoci concretamente perché migliori la qualità della vita. Indossiamo gli occhiali giusti per vedere situazioni difficili provocate dalla delinquenza, dall’uso delle sostante stupefacenti, su fenomeni che portano degrado sociale. L’apparente tranquillità della nostra Città non ci faccia chiudere gli occhi sui reali bisogni e sul reale bene-essere dei cittadini, senza dimenticare la solitudine dei nostri anziani.
Credo che anche i lavori e i risultati dell’Osservatorio diocesano “Ri-data” possono essere un valido contributo che la nostra Chiesa diocesana mette a disposizione per leggere in maniera acuta determinati fattori del nostro territorio. Il faticoso sviluppo economico con l’area industriale in forte sofferenza e le non sempre adeguate infrastrutture di trasporto invocano scelte sagge e irrimandabili, come premessa per evitare ulteriore spopolamento. E ovviamente non chiudiamo gli occhi sulle politiche lavorative: lo sappiamo, senza un lavoro giusto e dignitoso la dignità delle persone e delle famiglie è messa a dura prova e tutta la città ne risente.
Il santo Vescovo pugliese don Tonino Bello, a me molto caro, proprio richiamandosi alla parabola del Samaritano indicava la necessità di essere non solo samaritani dell’ora dopo o dell’ora giusta ma anche dell’ora prima che additi alla politica la necessità di investire (molto!) sulla prevenzione.
Viviamo la città e aiutiamo a viverla sollecitando tutti ad essere accoglienti, ad essere portatori di sollievo, operatori di pace; pace intesa come la somma delle ricchezze più grandi di cui un popolo e gli individui tutti possano godere: giustizia, libertà, dialogo, crescita, uguaglianza, …
Oggi vivere è fare i conti con la complessità. Dotiamoci di una strumentazione operativa che accompagni il nostro vivere. Studiamo, programmiamo e progettiamo insieme la nostra vita. Costruiamo il futuro senza dimenticare le radici. Provengo da una famiglia di agricoltori. So benissimo che gli alberi crescono e si sviluppano se hanno buone radici. Il vostro compito, sindaco, consiglieri, assessori, dirigenti, funzionari, assieme a tutti i cittadini, me compreso, e la diocesi che qui rappresento, sarà quello di piantare, curare, far crescere il nostro territorio. È tempo di una corresponsabilità coraggiosa. Ne ha diritto questa città, specie le nuove generazioni. E anche con la complicità delle nuove generazioni cresceranno visioni, matureranno gemme nuove, si aprirà un futuro insperato.
E concludo usando ancora le parole che don Tonino Bello affidò agli Amministratori della sua terra. Oggi io, vostro Vescovo, le affido a voi, amministratori di questa Città:
«Benedite la vostra città. Tracciatele un segno di croce prima di addormentarvi la notte. Per chi crede sarà un’impetrazione di grazie; per chi non crede sarà una carezza dolcissima».
Vi confesso che questo gesto è anche il mio, appena riapro gli occhi al mattino, e quando li richiudo la sera prima di addormentarmi.
Grazie e buon futuro a tutti! Buon futuro cara nostra amata Città di Rieti!