Olio che consacra, olio che profuma

«Ti preghiamo, o Padre: santifica con la tua benedizione quest’olio, dono della tua provvidenza; impregnalo della forza del tuo Spirito e della potenza che emana dal Cristo dal cui santo nome è chiamato crisma l’olio che consacra i sacerdoti, i re, i profeti e i martiri».

Con queste parole il vescovo, nella Messa crismale, consacra il crisma, mentre i sacerdoti, senza dire nulla, stendono la mano, segno della presenza e dell’azione dello Spirito Santo. Non dicono nulla proprio perché è lo Spirito Santo che agisce e dona la forza ai discepoli di Gesù di espandere nel mondo il profumo di Dio. La Bibbia, e di conseguenza la liturgia, è piena di profumo.

Ce lo ricorda il Cantico dei Cantici, profumo che si spande è il nome di Dio, o il Vangelo di Giovanni: «e tutta la casa si riempì dell’aroma di quel profumo» (Gv 12,3). Il profumo, per natura sua, si diffonde all’intorno e impregna di sé ogni cosa. Ha le caratteristiche dell’amore divino: non si trattiene ma si espande, è invisibile eppure sempre presente.

Gesù aveva detto: «Questo vi comando: che vi amiate gli uni gli altri» (Gv 15,17). Questo è l’unico modo di essere cristiani e di evangelizzare: non ce ne sono altri! Tertulliano testimonia che i primi cristiani prendevano queste parole di Gesù così sul serio che i pagani esclamavano, ammirati: «Guardate come si amano!» (Apolog. 39).

Nella Messa crismale, come in tutta la liturgia, il centro del mistero celebrato è l’opera dell’amore del Padre che, risuscitando Gesù dai morti, effonde su tutti i credenti lo stesso Spirito con cui unse Gesù, rendendoli così, secondo le parole della colletta, «partecipi della sua consacrazione».

L’antifona di ingresso, la colletta e tutte e tre le letture di questa celebrazione eucaristica sono straordinariamente ben coordinate e dopo l’omelia, potrebbero culminare nella benedizione degli oli, ma non lo fanno. Esse conducono invece alla rinnovazione delle promesse sacerdotali, in una sorta di “intrusione presbiterale” nella Messa crismale. Questo proprio perché, attraverso la concelebrazione e la rinnovazione delle promesse, si vuole ricordare il giorno dell’istituzione dell’eucaristia e del ministero ordinato. La comunione che ci lega gli uni agli altri: è questo è il vero profumo della chiesa, il “camminare insieme”.

La cosiddetta “sinodalità” non indica tanto il “funzionamento” della chiesa, quanto la sua natura profonda. Questo cammino di rinnovamento della Messa crismale intrapreso dal Concilio sfocia in quella che è diventata una rubrica del Messale Romano nella sua terza edizione, dove si afferma: “Questa messa che il vescovo concelebra con i suoi presbiteri, deve essere la manifestazione della comunione dei presbiteri con il loro vescovo”.

Inoltre la rubrica relativa all’omelia chiede al vescovo di esortare i suoi presbiteri a rimanere fedeli al loro ministero. Nella nuova edizione del Messale la rubrica afferma che il vescovo «parla al popolo e ai suoi presbiteri dell’unzione sacerdotale, esortando i presbiteri a rimanere fedeli al loro ministero». Sono degni di nota i pronomi possessivi usati in relazione a presbiteri, vescovo e ministero. I presbiteri sono i suoi presbiteri. Il vescovo è il loro vescovo. Questo non viene detto dei battezzati.

La rubrica qualifica i fedeli riuniti intorno al vescovo come il “popolo”. Non il “suo popolo”.

Molto bella questa immagine di Chiesa, perché noi tutti: vescovo, presbiteri, laici, siamo il popolo di Dio che, camminando insieme sulle strade del mondo, spande ancora oggi il profumo dell’amore di Dio.

Padre Ezio Casella, direttore Ufficio Liturgico Diocesano