Mons. Pompili: la Chiesa è una comunità concreta, visibile, accogliente


Dedicazione della Cattedrale (Rieti, 9 settembre 2015), Omelia del vescovo Domenico Pompili

(Ez. 43, 1-2.4-7; Ef 2, 19-22; Gv4,19-24)

“La gloria del Signore entrò nel tempio per la porta che guarda a oriente”. La porta che guarda ad oriente dice che Dio viene sempre come sole che sorge e illumina con la sua presenza l’oscurità dell’uomo che non sa orientarsi e non riesce neppure a distinguere cose da persone. Quando l’alba si distende all’orizzonte tutto riacquista vita e calore. Non potrebbe esserci definizione più esatta di Dio che è silenzioso, vitale, diffusivo, gratuito come la luce misteriosa dell’aurora. Stamattina quando era ancora buio mi sono affacciato dalla finestra e ho cercato di cogliere l’attimo in cui dalla notte si passa al giorno. E d’incanto mi è parso che la Città riacquistasse contorni e vita. Come scrive Ungaretti: ”Conosco una città che ogni giorno s’empie di sole e tutto è rapito in quel momento”.

Ma perché Dio entra per la porta e non semplicemente da una finestra? Perché, in realtà, Dio entra nella vita non di un singolo individuo, ma ogni giorno nella vita di un popolo che ha nel suo tempio visibile la traccia indelebile del suo destino. Facciamo fatica a cogliere questa verità perché veniamo da una mentalità individualista che ha smarrito il senso di una più ampia appartenenza perché dimentica la filialità e la fraternità. Diventiamo così analfabeti di prossimità. Anche la fede è stata rimpicciolita e si è finito per ritenere che il Regno di Dio viene al singolo, non a una comunità. E, per conseguenza, non riguarda la realtà esteriore ma solo quella interna, l’uomo interiore, l’anima. Oggi poi nella società dei consumi, il grande supermarket dove ci si aggira ognuno con il proprio carrello per scegliere ciò che piace e di cui si sente il bisogno, anche la fede rischia di essere solo un reparto di singole offerte religiose accanto alle altre. Ma la maestosità della nostra Cattedrale è lì a dirci con silenziosa ostinazione che la chiesa significa una comunità concreta, che porta le tracce della storia e che comunica la salvezza qui e ora. Non esiste semplicemente una ‘societas in cordibus’ cioè una sorta di condivisione dei cuori, ciascuno nel chiuso della propria coscienza, ma esiste una comunità di persone concrete, con i loro problemi e le loro attese, con i loro doni e le loro potenzialità. Che non sono solo destinatari di un messaggio ma che formano nel loro essere in comunione, il corpo stesso di Gesù.

Quando Onorio III nel 1225 dedicò, cioè inaugurò, questa chiesa intitolata alla Vergine Maria, Madre di Dio, diede corpo a questa persuasione che non dobbiamo mai perdere di vista: Gesù vuole che il suo Regno passi per una comunità concreta e non lascia la fede al caso, ma alla possibilità di un incontro reale. Sono passati quasi 8 secoli da quando il papa che soggiornò in Citta dal giugno 1225 al febbraio 1226 volle inaugurare questa Chiesa il 9 settembre del 1225, ma siamo appena agli inizi. E’ solo l’aurora della fede cristiana e sempre da qui dobbiamo ripartire.

Di questa chiesa concreta, visibile, accogliente, l’apostolo Paolo nel frammento ascoltato della lettera agli Efesini, esplicita il fondamento: Gesù ne è la pietra angolare e “in lui ogni costruzione cresce ben ordinata per essere tempio santo nel Signore”. Ci è così consegnato il punto di convergenza dove trovare saldezza, coesione, energia. Se infatti viene meno questo riferimento le pietre rischiano di essere un cumulo di materia inerte. Ciò che fa da calamita, da centro di attrazione non può essere un consenso psicologico o morale e neanche una semplice speranza in qualcuno, ma soltanto Gesù Cristo, verità in quanto via e vita. Infatti “in lui ogni costruzione cresce ben ordinata per essere tempio santo nel Signore; in lui anche voi insieme con gli altri venite edificati per diventare dimora di Dio per mezzo dello Spirito”. Non potrebbe esserci piano pastorale più conciso ed efficace. L’accento è posto su una costruzione che non cresce per sua autonoma forza, ma per effetto di un rapporto vitale. Solo se “veniamo edificati” cioè ci lasciamo fare da Dio grazie allo Spirito di Gesù Cristo possiamo sperare di diventare sua dimora. “Venire edificati” significa la priorità di Dio sull’uomo, la precedenza della sua azione sulla nostra buona volontà, l’eccedenza del suo amore rispetto al nostro affetto sempre inselvatichito. L’anno della Misericordia che vivremo insieme ci darà l’opportunità per ritrovare questa priorità di Dio che ci mettere al sicuro da nevrosi e preoccupazioni, restituendoci alla sua grazia. Per prepararci ad esso, secondo le sollecite raccomandazioni di papa Francesco, trovo che sia un bel segno quello di cui la Caritas diocesana si fa interprete mettendo a disposizione di una famiglia di immigrati un appartamento, sin da oggi disponibile. Questa accoglienza si aggiunge a quella già in atto di circa 35 persone richiedenti asilo e rifugiati che sono ospitati dal 2008 attraverso il gruppo di volontariato il Samaritano.

Per chiudere. L’esperienza della samaritana, di cui ci ha parlato il brano evangelico, ci aiuta a familiarizzare con la logica sorprendente di Dio. La donna sembra voler ricondurre tutto ad un problema pratico, prima l’acqua da trovare per le necessità quotidiane e poi la questione del luogo di culto, ma il Maestro pazientemente la apre ad un’altra dimensione. Ormai con lui è tempo di “adorare Dio in spirito e verità”. Lo Spirito – secondo il linguaggio di Giovanni – non è una realtà evanescente che si oppone al corpo, una realtà interiore che si oppone a quella esteriore. Quindi il culto dello Spirito non è il culto interiore, spirituale, individuale in contrapposizione al culto esteriore e pubblico. Lo Spirito è la realtà divina che solleva l’uomo dalla sua impotenza. E Gesù Cristo è la strada concreta, visibile, a portata di tutti, che insieme può essere percorsa. E’ Gesù alla fine il tempio che si offre come lo spazio vitale in cui ritrovare la fiducia e la voglia di camminare. A Maria Madre di Dio, cui è intitolata la nostra Cattedrale, chiediamo di accompagnarci con questa preghiera:

“Essere arditi. Una volta.
Rivolgersi arditamente a colei che è infinitamente bella.
Perché è anche infinitamente buona.
A colei che intercede.

La sola che possa parlare con l’autorità di una madre.
Rivolgersi arditamente a colei che è infinitamente pura.
Perché è anche infinitamente dolce.
A colei che è infinitamente nobile.

Perché è anche infinitamente cortese.
Infinitamente accogliente.
Accogliente come il prete che sulla soglia della chiesa
Va incontro al neonato fin sulla soglia.

Il giorno del suo battesimo.
Per introdurlo nella casa di Dio.
A colei che è infinitamente ricca.
Perché è anche infinitamente povera.

A colei che è infinitamente alta.
Perché è anche infinitamente discendente.
A colei che è infinitamente grande.
Perché è anche infinitamente piccola.

Infinitamente umile.
Una giovane madre.
A colei che è infinitamente giovane.
Perché è anche infinitamente madre”

(Ch. Pèguy)