Mons. Domenico Pompili: «Sarò da voi il 5 settembre»

Una lettera, firmata semplicemente “Domenico, vescovo eletto di Rieti”, che monsignor Pompili ha indirizzato al clero della diocesi in cui giungerà a settembre. Datata 8 giugno, è stata consegnata a preti e diaconi radunati, per l’ultimo incontro mensile dell’anno pastorale, alla vigilia della festa del Sacro Cuore. Di seguito il testo della missiva di Pompili.

Cari presbiteri e, insieme con voi, cari diaconi, approfitto del vostro radunarvi in occasione della solennità del Sacro Cuore per inviarvi un saluto. Questa popolare “devozione”, in realtà, nasconde una autentica spiritualità perché rimette al centro il rapporto a tu per tu con Gesù che è all’origine di ogni vocazione. E invita così a tornare al nostro impegno quotidiano che non è solo questione di buona volontà, ma l’effetto di una conoscenza interiore che spinge ad andare verso gli altri.

Spero che questa pausa di riflessione e di amicizia fraterna, con il dono della presenza del vescovo Delio e del vescovo Lorenzo, possa aiutarvi ad ossigenare il cuore che quando è affaticato ci fa perdere in scioltezza e in gioia. Al contrario il contatto con il Maestro ci riporta al nostro destino che è quello di essere discepoli prima che maestri, che sanno attraversare il buio e le fatiche dei nostri contemporanei, senza perdersi d’animo, ma ancor più confidando in Lui.

Voglio pure comunicarvi che il prossimo 5 settembre quando verrò ordinato vescovo in Cattedrale per la preghiera e l’imposizione delle mani del card. Angelo Bagnasco, si avvierà anche il mio servizio pastorale. Non nascondo che vivo con impazienza l’attesa che ci separa da quel giorno. Al momento, mi trovo in ospedale accanto a mio fratello Marco, di due anni più grande, che sta attraversando la fase terminale di un tumore.

Proprio guardando a lui, alla sua forzata immobilità, al brusco interrompersi della sua vitalità, mi interrogo e cerco di pregare. Trovo che non esistano risposte facili e preconfezionate e che la fede non consista in un salvacondotto rispetto a drammatiche sorprese, appena dietro l’angolo. Ciò nonostante, percepisco che questo dolore non sarà inutile anche se mi costringe a guardare alla provvisorietà di tutto. Paradossalmente la fugacità dell’esistenza spinge a vivere con maggiore intensità ogni cosa, ogni relazione, ogni attimo. La fede cristiana è, a pensarci, il farsi strada della speranza di non morire, senza la quale le piccole speranze di ogni giorno non trovano fondamento.

Agli inizi dell’esperienza cristiana a Rieti incontriamo il nome di Prosdocimo che, secondo la tradizione, sarebbe stato un collaboratore dell’apostolo Pietro, nella seconda metà del I secolo. Da lui in poi non si è interrotta la serie degli evangelizzatori. Il seme cristiano è penetrato e si è consolidato grazie ai benedettini prima, agli ordini mendicanti poi, in particolare francescani e domenicani, fino al vescovo– missionario Massimo Rinaldi, ai nostri giorni.

Questa solidità e profondità della storia che è alle nostre spalle commuove. Tuttavia non può essere solo nostalgia o rievocazione. Ha invece un profondo significato se fa da contrappeso a quel mondo liquido e friabile che sono diventate anche le comunità di provincia e, perfino, i più piccoli centri di montagna. Percepire “solidità” alle spalle aiuta a vivere la “fluidità”, ma guardando in avanti. In direzione di ciò che è umano e deve diventarlo sempre più dentro la vita che pulsa: il territorio e i suoi problemi di sviluppo, le comunità a rischio di isolarsi e di perdere la propria identità, la chiesa e la necessità di essere unita e non divisa, i giovani e la voglia spesso disattesa di vivere la libertà, gli adulti e la fatica di dare priorità ai legami rispetto alle cose e agli impegni; e per finire, gli anziani con la loro esperienza che se non riesce a circolare stagna e non serve a nessuno. A questa umanità in attesa il Vangelo offre la strada da percorrere più convincente. Ed è la ragione per cui ognuno di voi si affatica ogni giorno.