Lettera del vescovo: «Natale tra stupore e responsabilità»

Da questo lembo di terra che abitiamo, il Serafico Padre Francesco fu ispirato per farsi affascinare dal grande Mistero dell’Incarnazione. Tre anni prima della sua morte, il Poverello volle continuare a meditare in profondità l’umiltà dell’Incarnazione e la carità della Passione vivendo tutto, mai in superficie, fin nella sua carne, facendo diventare sempre più la sua esistenza un tutt’uno con quella del suo Maestro e Signore, fino alla pienezza dell’Incontro.

Quanto debba ardere di santa gelosia la nostra vita, la nostra Chiesa, le nostre comunità dinanzi a questo imperioso desiderio di sequela e di imitazione!

Non bastano più le parole, ci si vuole quasi fondere con l’Amato. È di nozze mistiche che parlano i Padri della Chiesa. Questa stupenda radice spirituale non può andare dispersa anche quando i riflettori del centenario si spegneranno.

Senza il clamore dei riflettori, senza il chiasso degli eventi, questa radice spirituale, nel silenzio dell’ordinario delle nostre vite, deve restare provocazione aperta per quanti desiderano accogliere il Mistero del Dio fatto carne.

A nessuno è preclusa questa accoglienza e nessuno ne è padrone. La Chiesa è soltanto custode e serva; tanto più riuscirà a custodire questo Mistero tanto più saprà e vorrà viverlo anche in mezzo alla sua personale povertà, facendosi nuovamente serva dell’umanità, con la preferenza dei piccoli e dei poveri divenuti oggi “tabernacolo vivente” del Bambino di Betlemme.

E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi e noi vedemmo la sua gloria…
Così ascolteremo, ancora una volta, nelle nostre chiese il giorno di Natale.

Con gioia professeremo che

per noi e per la nostra salvezza discese dal cielo…

Questa discesa è culminata in una mangiatoia, nel punto più basso. Nell’attesa di scendere ancora più giù, negli inferi (!), con la Passione.

Lo scorso 9 dicembre la Chiesa reatina ha avuto la gioia di essere accolta dal Santo Padre nell’Aula Paolo VI per la benedizione dei presepi offerti dalla nostra Diocesi.

Nel suo messaggio papa Francesco ci ha invitato a contemplare la mangiatoia come “cattedra”. In un tempo in cui ciascuno vorrebbe dire sempre, a tutti i livelli, dalla politica alla vita ecclesiale, parole diverse, contrarie, ostili, sentendosi sempre superiori a tutto e a tutti, mi sembra fondamentale e necessario tornare ad ascoltare questo magistero della piccolezza che da Betlemme rimbalza nelle nostre vite.

Stupore e responsabilità mi sembrano gli ingredienti fondamentali per evitare che, passata l’Epifania, tutto finisca come per magia e si torni nell’asfittica vita di tutti i giorni.

Il Natale è una festa che ha poco di magico. I Vangeli ci consegnano la Luce in mezzo alle tenebre di ieri e di oggi, infondendoci, però, l’intrepida certezza che la notte per quanto lunga, dura e tenebrosa non avrà la meglio.

Quali auguri scambiarci mentre ascoltiamo di circa 5400 bambini uccisi nella striscia di Gaza, senza tacere delle guerre in Ucraina e in Sud Sudan come in tantissime altre parti del mondo in cui anche i riflettori delle TV sono ormai spenti?

Stupore e responsabilità perché non c’è canto degli Angeli che può metterci al riparo da un impegno fattivo e ordinario per ricucire i rapporti, fermare la violenza (anche verbale!), seminare prospettive di bene, mettere in atto processi di cambiamenti generativi, farci piccoli per dare futuro alle nuove generazioni spesso disorientate da una società che fatica a indicare con scelte coerenti il bene possibile.

Era notte ed è notte. Anche in pieno giorno!

Abbiamo bisogno di ritrovare il bandolo della matassa e di ricominciare, per rialzare il tasso di umanità, paurosamente abbassato all’ingrosso e al dettaglio.

Riusciremo qui e ora, da oggi, a comprometterci positivamente, a “sporcarci le mani” perché quei canti bellissimi ascoltati sulle labbra dei nostri bimbi nelle recite delle nostre scuole trovino eco nella nostra coscienza “adulta”?

Le sfide sono ampie e non ammettono latitanza. Diamo sostanza al Natale con gesti concreti. Le sfide ci sono tutte dinanzi e sono irrimandabili.

Il Bimbo di Betlemme invoca cura. Penso sia la parola da far emergere. Cura. Quella di chi non passa più oltre ma si ferma per accogliere, abbracciare e ricominciare. Ripartendo anche con passo lento per evitare sorpassi indebiti. Per evitare di dimenticare qualcuno. Perché Natale è abbassarsi, come Dio, fino giù ad una mangiatoia. Dove non ti aspetteresti…

Auguri di Natale. A tutti e a ciascuno!

Rieti, Natale 2023

+ don Vito