Forse nessuna parola è forse più abusata e svalutata della speranza. Divenuta ormai un’abitudine, è una risposta automatica, un riflesso condizionato, un’invocazione facile da rivolgere agli altri per togliersi dall’imbarazzo dei loro problemi senza doversi coinvolgere. Ma questo vuoto fatto di parole di circostanza non preclude l’accesso alla speranza per ciò che realmente è: non una promessa vana, ma una virtù concreta, radicata nella fatica, nella pazienza e nella capacità di guardare oltre il presente. La «speranza che non delude» è quella che viene dalla fede. E ad essa si è fatto riferimento nella notte in cui Amatrice ha ricordato i morti nel terremoto del 2016, a cavallo tra il 23 e il 24 agosto.
Nella veglia, la speranza è stata riaffermata come forza autentica e necessaria. Una sfida quotidiana che richiede tenacia e fiducia per trasformare il dolore in un cammino verso la rinascita. Sullo sfondo, la preparazione al Giubileo del 2025, che richiama proprio alla «Spes non confundit» annunciata dalla Lettera ai Romani. La veglia è stata accompagnata da letture, momenti di silenzio e riflessioni tratte dalla Bolla di indizione del Giubileo. Sono affiorati temi legati alla resilienza e alla fede in tempi di sofferenza e ricostruzione, non solo materiale ma anche interiore, evidenziando il messaggio paolino della speranza che nasce dalla prova.
È stato posto un accento sull’importanza della pazienza come virtù strettamente legata alla speranza. La pazienza, messa spesso alla prova dalla frenesia della vita moderna, è infatti essenziale per riscoprire la bellezza della perseveranza e della fiducia nel disegno divino. La veglia ha anche riflettuto sull’urgenza di un’alleanza sociale inclusiva che sostenga il desiderio di trasmettere la vita e di rispondere alle sfide globali con coraggio e creatività. Il percorso giubilare, del resto, è un’opportunità per riappropriarsi del dono della fede, rafforzando la speranza cristiana che si radica nel mistero pasquale: la morte e risurrezione di Cristo come cuore della speranza.
Non è una conquista a buon mercato. La distanza tra la croce e la risurrezione va colmata. E questo è sembrato dire la fiaccolata che ha attraversato la tabula rasa del centro storico chiudendo la veglia. Una processione davvero composta e silenziosa, affidata al tremolio delle candele. Ed è stato bello vedere come tante fioche lucine, tutte insieme, possono rischiarare la notte quanto basta per abitarla.
Ultima tappa il monumento ai caduti nel parco Don Minozzi. Qui sono stati letti i nomi di tutte le persone che hanno perso la vita nel terremoto. Poi di nuovo il silenzio, in attesa che la campana contasse le vite spezzate. Più di duecento rintocchi suonati per dieci lunghi minuti, un tempo sospeso come gli otto anni che ci separano dai primi istanti del disastro.
Un’ultima preghiera per i morti, seguita dalla benedizione impartita del vescovo Vito, ha completato la liturgia sciogliendo l’assemblea. Poi ognuno è tornato a casa portando con sé la propria pena. È proprio vero: è il cuore il paese più straziato.