La rivincita possibile della speranza

Una rivincita possibile, a portata di mano. Non una rivincita di uomini contro altri uomini, però. Ma un annuncio di pace, di speranza, addirittura di modernità, intesa nel suo significato più autentico di adesione al meglio dello spirito del tempo presente. Sono i pensieri affidati da Papa Francesco a quanti si sono ritrovati lo scorso 24 novembre nella Sala Clementina del Palazzo apostolico per l’udienza concessa agli amministratori impegnati nella difficile partita della ricostruzione nel “cratere” del sisma 2016: i sindaci che sono il punto di contatto primario tra la popolazione e le istituzioni, ma anche i vescovi, il commissario straordinario, i rappresentanti di tutto l’apparato pubblico impegnato in un compito tanto difficile quanto gravido di possibilità.

Soprattutto su queste parole si è soffermato il Pontefice, che attraverso la Chiesa italiana è stato vicino alle vittime del disastro già dalla prima forte scossa del 24 agosto. Un affetto mai venuto meno, testimoniato in modo plastico dalla sua visita ad Amatrice, ad Accumoli e agli altri comuni colpiti il successivo 4 ottobre: abbracciato dai bambini, in ascolto attento degli adulti, condividendo il pasto con gli anziani.

Non a caso fu scelto il giorno in cui si ricorda san Francesco. Facile intuire il suggerimento a leggere l’intera vicenda del terremoto attraverso la riflessione dell’enciclica Laudato si’, che prende il titolo da quel Cantico delle Creature in cui il Poverello distilla con intensa poesia la lode al Creatore del mondo attraverso il creato. Cos’altro — se non il rapporto tra le opere dell’uomo e l’ambiente — mette sotto la lente ogni disastro naturale? E quale diversa linea di pensiero potrebbe guidare la ricostruzione, se non il tentativo di corrispondere alla sfida urgente di proteggere la nostra casa comune, cercando uno sviluppo sostenibile e integrale?

Papa Francesco ha riconosciuto ai presenti una grande lungimiranza. In questi anni i territori hanno dimostrato spirito di collaborazione, resilienza e capacità di superare ostacoli e incertezze. Hanno testimoniato un “noi” capace di piangere i morti e insieme di cogliere l’opportunità di un nuovo inizio. Intuizioni che si ritrovano nel programma di rigenerazione socio-economica “Next Appennino”, nel quale sono presenti tre attenzioni molto importanti: alla sostenibilità, alla natura, agli attuali mutamenti climatici. Aspetti sui quali il Papa ha concentrato il cuore del suo discorso, confortato dal sapere di opere impostate sull’eliminazione degli sprechi, sull’equa distribuzione delle risorse, sulla tutela dei più fragili, sulla legalità, sul rispetto del lavoro e dei lavoratori.

Soprattutto, il Pontefice ha inquadrato la vicenda della ricostruzione come la possibile alternativa a uno sviluppo bulimico e disordinato, la cui conseguenza sono città caotiche, certamente ricche di mezzi e servizi, eppure paradossalmente invivibili. Contesti in cui l’inquinamento e il degrado urbano sono lo specchio di un doloroso impoverimento umano, fatto di solitudine, emarginazione, trascuratezza, soprattutto dei soggetti deboli, degli anziani, dei bambini. La possibile rivincita che traspare dal discorso del Papa è invece quella di un’Italia interna in cui è possibile integrare lo sviluppo tecnico ed economico alla qualità della vita, avendo la persona e le relazioni al centro del funzionamento dei paesi e delle città.

Si dirà da parte di qualcuno che si tratti di utopia, che l’assetto politico e sociale suggerito dal Papa è un sogno religioso che non trova riscontro nella realtà. Eppure di questo paradigma dato da Francesco se ne avverte forte il desiderio. Come si avverte il forte bisogno di non deturpare più il paesaggio con un’edilizia troppo invasiva e troppo poco pensata. Una nuova sensibilità verso l’ambiente — che chiede «una creatività generosa e dignitosa, che mostra il meglio dell’essere umano» — è un tratto emergente del nostro tempo. Con sguardo profondo, Francesco suggerisce che lasciarlo respirare e crescere è un’esigenza antropologica prima ancora che ambientale o politica; si accorge che se non si asseconda questo anelito di vita non è possibile invertire la crisi demografica; afferma che immaginare aree interne a misura d’uomo, funzionali e accoglienti, è una scelta strategica nella lotta ai cambiamenti climatici.

Tornare ad abitare l’Appennino vuol dire anche rinnovata cura per il territorio, agricoltura appropriata ai contesti, protezione dei boschi, delle acque, della biodiversità. Una necessità per nulla estranea alle grandi città a valle, la cui incolumità ambientale — ce ne rendiamo ormai conto ad ogni accenno di pioggia — dipende dalla relazione con gli insediamenti a monte tanto quanto per l’approvvigionamento idrico e alimentare.

Nella ricostruzione, il Pontefice trova una metafora potente, un invito a guardare lontano, a ragionare nell’interesse delle generazioni future mentre ci facciamo carico delle preoccupazioni e delle incombenze del presente. E lo fa senza scadere nella retorica dei “borghi”, della riscoperta un po’ sentimentale del policentrismo territoriale italiano. Il pensiero di Francesco viaggia lontano dall’immagine asimmetrica di piccoli centri in difficoltà, tanto belli quanto bisognosi, che debbono essere “adottati” e messi sotto tutela dalle grandi città. Dal suo discorso traspare il carattere strategico dell’Italia di mezzo, l’identità e il ruolo specifico che le frazioni sparse sulla dorsale montana del Paese possono giocare su più livelli.

Dopo anni di abbandono e trascuratezza, l’Appennino può aspirare a un ruolo nuovo. Trova l’occasione per rispondere a una narrazione superficiale che idealizza la vita nei borghi, tenendo tra parentesi le asprezze affrontate da chi ha deciso di abitarli. La ricostruzione è una porta aperta sulla necessità, il desiderio, la volontà di generare un nuovo senso dei luoghi, conservandone la memoria e sapendone ricavare le fondamenta di ciò che dovrà essere: un nuovo senso dell’abitare, cioè dello stare al mondo; «un modello di armonia tra l’opera di Dio e quella dell’uomo». Proprio da queste aree potrà venire a tutti un compito rinnovato di cura e di prossimità da portare avanti assieme con tenace pazienza e coraggiosa speranza.

di Vito Piccinonna
Vescovo di Rieti