La fede? È uscire dall'isolamento e misurarsi con l'Altro

S. Messa a S. Barbara in Agro e Battesimo di un adulto, 11 settembre 2015. Omelia del vescovo Domenico Pompili

Timoteo è il discepolo prediletto di Paolo cui sono destinate non una ma due lettere. A riprova del legame stretto che ha portato i due ad ‘affaticarsi’ per il Vangelo sempre in sintonia, nonostante Paolo fosse il maestro e Timoteo il discepolo. Questa differenza non ha impedito di vivere un rapporto importante sul piano degli affetti al punto che l’Apostolo una volta in carcere a Roma supplica Timoteo di andare da lui per sostenerlo nell’ultima prova.

La prima Timoteo si apre con una affermazione forte di Paolo che, a scanso d’equivoci, si presenta come “apostolo di Cristo Gesù per comando di Dio nostro salvatore e di Cristo Gesù nostra speranza”. E’ un modo per riaffermare di fronte ai suoi avversari – quelli che lui spregiativamente definisce ‘dottori’ – la sua missione e ancor prima la sua vocazione. Ma quel che colpisce è accanto a questa consapevolezza, la riaffermazione della sua ‘fiducia’ in Dio che “da bestemmiatore, persecutore e violento” lo ha reso credente. La chiarezza di questa ‘sovrabbondanza’ di Dio che lo ha riscattato dal suo stato di peccatore dà a pensare. 

Non siamo abituati a riconoscerci peccatori. La parola stessa è stata abolita dal vocabolario corrente anche perché spesso si è male inteso la natura vera del peccato che è fondamentalmente l’incredulità, da cui provengono tutti gli altri. Ma soprattutto si è persa la capacità di mettere in discussione se stessi e di proiettare sugli altri le malefatte e il caos della società. Questo sport acido e criticone non risparmia nessuno e alimenta un’atmosfera pesante in cui le colpe sono sempre quelle degli altri, mentre noi saremmo solo le vittime di un stato degradato delle cose.

La fede ci restituisce questa sorta di igiene mentale. Il primo a dover cambiare sono io, non gli altri. Ciò che non va non è tanto quello che mi succede fuori, ma quello che mi accade dentro. Solo Dio ci restituisce questa persuasione perché con la fede ci fa uscire dal nostro isolamento e ci costringe a misurarci con quello che esiste a prescindere da noi. Lui, innanzitutto, ma anche tutte le realtà differenti da noi.

Comprendiamo allora le parole taglienti del Maestro: “Perché guardi la pagliuzza che è nell’occhio del fratello e non ti accorgi della trave che è nel tuo occhio?… Ipocrita! Togli prima la trave del tuo occhio e allora ci vedrai bene per togliere la pagliuzza dall’occhio del tuo fratello”. C’è un proverbio che dice: “Per accorgersi di un tirchio ce ne vuole… un altro!”. Quel che rimproveriamo agli altri spesso altro non è che il nostro problema, la trave che è nel nostro occhio e che finiamo per proiettare sulla pagliuzza del fratello.

Il battesimo conferito ad un adulto fa risplendere nella sua semplicità questo cambio di prospettiva. Per cambiare il mondo intorno a noi basta cominciare da sé. Diversamente saremo solo “guide cieche” che finiremo in un fosso con tutti gli altri.

Questa consapevolezza ci dona anche un senso di autoironia che non guasta. Ci fa prendere meno sul serio. E ci riconduce a quella matura misura di sé, che si coglie nelle parole di questo uomo geniale e dal carattere impossibile che fu l’apostolo Paolo: “Mi è stata usata misericordia, perché agivo per ignoranza, lontano dalla fede, e così la grazia del Signore nostro ha sovrabbondato insieme alla fede e alla carità che è in Cristo Gesù”.