Arrivano puntuali, a Contigliano, gli oltre cento delegati – fra sacerdoti, frati, suore e vari laici in rappresentanza di parrocchie, movimenti, organismi ecclesiali – dell’Incontro Pastorale 2021. Il secondo dell’era Covid (anche l’anno scorso, a settembre, si entrava rigorosamente con mascherina, registrazione delle presenze e igienizzazione delle mani), il primo con greenpass che le norme vigenti quest’anno rendono obbligatorio per ogni forma di convegno.
Verificati i nominativi (e la regolarità della “carta verde”) all’ingresso, prendono posto nel salone del centro pastorale San Michele Arcangelo. E trascorso il “quarto d’ora accademico” di rito, tocca a monsignor Pompili aprire l’assemblea della Chiesa di Rieti che quest’anno si articola in quest’unico momento comune diocesano, dovendo in seguito lasciar spazio ad ulteriori appuntamenti a livello di singole parrocchie e zone pastorali, in vista dell’avvio del “cammino sinodale” che anche la diocesi reatina condividerà con tutta la Chiesa italiana.
Dopo l’invito di padre Ezio, direttore dell’Ufficio liturgico, l’assemblea avvia la preghiera cantando le parole del salmo: “I cieli narrano la gloria di Dio e il firmamento annunzia l’opera sua…”, il vescovo Domenico guida la preghiera di apertura, orientata sul tema della custodia del creato (a pochi giorni dall’apposita Giornata mondiale).
Il brano evangelico proclamato è quello in cui Matteo narra la rivelazione in sogno a Giuseppe del disegno di Dio sulla sua promessa sposa Maria. La meditazione la offrono quattro operatori di diversa età impegnati nella Pastorale giovanile e nella catechesi: Francesco, Marta, Claudio e Maria.
Dio parla nei sogni, perché «nel sonno diradiamo le nostre maschere», dice Francesco. «A volte abbiamo paura di sognare, perché entriamo in contatto con risposte che non vogliamo trovare, con emozioni che non vogliamo vivere… E allora “sogno o son desto?”. Sarebbe meglio dire “Sogno e son desto”». Giuseppe infatti ci insegna a leggere i sogni: ha scelto di «credere nel sogno di Dio, di diventare la speranza di Dio fatta carne, di essere il custode del sogno di Dio, dando a esso la possibilità di diventare storia di salvezza». Giuseppe è così «l’emblema dell’uomo che credendo nel sogno di Dio,trasforma la storia».
«Ho sperimentato veramente come Dio può essere padre. Nell’angoscia mi ha fatto sentire amata come figlia. La figura di Giuseppe mi insegna a fidarmi del Padre, di affidarmi e di obbedire», prosegue la “lectio” sul brano con la meditazione di Marta inviata in video.
E poi Claudio: si sofferma sulla frase dell’angelo che annuncia a Giuseppe la maternità di Maria e la nascita del bambino a cui egli è chiamato a dare nome Gesù. «Giuseppe è preso dai suoi pensieri. Potrebbe sentirsi come un escluso, messo in un angolo, quando vorrebbe invece sentirsi protagonista… ed è messo “in panchina”! Lui però accetta il gioco, accetta di essere un “panchinaro”, una comparsa, e però il suo ruolo non è marginale, ha una responsabilità: deve dare il nome.
Dare il nome rappresenta l’essenza stessa di una persona. E in più l’eternità: il nome è quello con cui Dio ci chiamerà nell’eternità. Giuseppe si assume dunque una grande responsabilità, e noi siamo chiamati a essere responsabili come è stato responsabile lui: metterci in gioco quando ci viene chiesto di farlo. Bisogna saper “metterci il grembiule”, metterci al servizio. E soprattutto imparare a riconoscere la luce, anche quando siamo in momenti ombrosi, siamo chiamati a riconoscere questa luce e a testimoniarla a tutto il mondo».
Infine Maria commenta il versetto finale del brano evangelico: “Giuseppe fece quello che gli aveva ordinato il Signore”. «Finito il sogno, ecco la realtà, con i sacrifici, le difficoltà, le rinunce, le delusioni, gli smarrimenti. E Giuseppe si ritrova solo in questa realtà». Ecco il censimento che porta la famiglia a Betlemme, quando si verifica la nascita di Gesù, poi l’ordine di Erode con la fuga in Egitto, quindi lo smarrimento di Gesù dodicenne a Gerusalemme, infine il ritorno a Nazaret in una vita «fatta di lavoro e sacrifici, e qui emerge la figura di Giuseppe come padre di Gesù, non nel significato biologico, ma il padre che custodisce, protegge, apre il cammino, aiuta la famiglia a realizzare la propria vocazione».
Il destino di Giuseppe «è il destino di ogni uomo», prosegue Maria che nella sua vita ha realizzato «il sogno della scuola, dell’insegnamento, che mi è costato molti sacrifici. E visto che parliamo di sogni vorrei con tutti voi fare un sogno per la Chiesa: sognare una Chiesa diversa, una Chiesa più viva, una Chiesa più nuova, più rispondente a come l’ha pensata il Signore. Per questo si richiede l’entusiasmo nel tempo: dobbiamo impegnarci a realizzare nel tempo questo sogno della Chiesa».
La sua Chiesa «adunata dalla Parola», Parola appena «spezzata da quattro persone, giovani e adulte», monsignor Domenico invita dunque a mettersi in ascolto della relatrice invitata per orientare la riflessione che attende anche la comunità diocesana reatina.