Incontro del vescovo con il clero, si prosegue «con fiducia e prudenza»

È partito prendendo in prestito alcune riflessioni di Alessandro D’Avenia sul Corriere della sera il vescovo Domenico per introdurre l’incontro del clero di novembre. In versione online, anche stavolta, il classico appuntamento del terzo giovedì per preti, frati e diaconi, collegati su piattaforma per condividere l’impegno di pastori che, anche in tempo di pandemia, sono chiamati a mostrare la sollecitudine materna della Chiesa.

«Soltanto l’imprevedibile ci costringe a svegliarci dal nostro letargo di stanche abitudini prive della vita di cui avremmo invece bisogno», le parole del giovane scrittore, nella sua rubrica Ultimo banco sul quotidiano milanese di tre giorni prima, citate da monsignor Pompili nell’aprire l’incontro.

E in effetti, ha voluto sottolineare don Domenico, «l’imprevedibile, come un virus maledetto, “non chiede la ‘sicura’, ma la ‘cura’, che non vuol dire essere spericolati, ma avere coraggio e inventiva: la preoccupazione diventa occasione e il pensiero riflessione”. Di più, “l’imprevedibile si affronta “prendendosi cura”: affiancando i più deboli, non isolandoli”».

La sottolineatura del vescovo si è concentrata sui due modi con cui si può dire “domani”: “futuro” e “avvenire”. «Il “futuro” dice ciò che – date certe premesse – si realizzerà. Per contro “avvenire” (dal latino ad-venire, arrivare; da cui advena, lo straniero) è ciò che accade senza permesso». E dunque quanto di più imprevedibile ci possa essere: citando sempre il pezzo di D’Avenia, «il futuro si progetta, l’avvenire, invece, semplicemente accade. Una macchina, un esame un matrimonio, abitano nel futuro; un amore, un lutto, un figlio nell’avvenire. Di fronte all’imprevedibile non basta mettersi in sicurezza perché ci impedisce di crescere».

Una riflessione che monsignore ha voluto incrociare con le parole del Vangelo proposto nella liturgia del giorno, in cui Gesù, come già il profeta Geremia, «piange su Gerusalemme perché la sua presenza che doveva portare “pace”, non è stata riconosciuta. Il tempo in cui sei stata visitata è stato inutilizzato ed è andato sprecato». In questo senso la pandemia che ha colpito il mondo, e in esso la Chiesa, va vista, secondo Pompili, come «una visita da riconoscere, come accadde agli inizi del cristianesimo, dove si nota una singolare coincidenza tra la lenta decadenza dell’impero romano e la lenta crescita delle comunità cristiane. Il tutto mentre si succedono pandemie che mettono a soqquadro la popolazione, decimandolo fino ad un quarto dei circa 60-65 milioni, dopo le pandemia da vaiolo e da morbillo».

La storia, ha ricordato il presule, ci dice che lo stesso imperatore Marco Aurelio morì di vaiolo, epidemia che devastò l’impero con migliaia di morti ogni giorno. E in tale contesto «la piccola comunità cristiana si fa riconoscere per l’Agape che è il volto di un Dio non più etnico, ma universale che si prende cura anche dello straniero», fedelmente al quanto fatto a uno dei miei fratelli più piccoli raccomandato da Gesù nella parabola del giudizio finale.

Infatti, ha proseguito la riflessione di monsignore, «il cristiano della prima ora sapeva che il battesimo era una scelta di campo che aveva dei costi e consisteva nel mettere a disposizione dei poveri quello che si aveva. Come scrive Tertulliano: Alla cassa comune non si attinge denaro per banchetti, bevute o inutili bagordi, ma per dare cibo e sepoltura ai bisognosi, per soccorrere fanciulli e fanciulle privi di sostentamento e di genitori e anche servi sfiniti dall’età e dai naufragi. Inoltre in questa nostra comunità soccorre quanti, in nome della religione da essi professata, sono condannati alle miniere o deportati nelle isole o relegati nelle carceri».

Sotto questa luce va dunque riletto l’impegno di farsi accanto a chi soffre che la comunità ecclesiale reatina è chiamata a intensificare in questo momento di crisi: una strada, ha insistito Pompili «da perseguire con fiducia e prudenza. Questo è il linguaggio più comprensibile ieri come oggi». È la prospettiva in cui si colloca anche «la scelta di fare dell’Oasi di Gesù Bambino il primo Covid hotel della provincia di Rieti», così come «la ragione di altre iniziative. Come il Fondo Santa Barbara riservato alle famiglie e ora quello intitolato al “pane di sant’Antonio” dedicato alle attività economiche».

Senza dimenticare le difficoltà economiche che affliggono anche la “gestione interna” della comunità ecclesiale, pensando alle parrocchie che, col lockdown e il calo delle presenze comunque registrato anche dopo la ripresa delle celebrazioni, vedono assottigliarsi di parecchio le entrate, potendo contare solo sulle offerte dei fedeli. Anche per questo aspetto, dunque, «oltre quello che si è fatto con un aiuto straordinario, si può pensare a qualcosa del genere subito dopo Natale, a partire da una presentazione del bilancio dell’ultimo anno».

La riunione è proseguita parlando anche di liturgia, in particolare del nuovo Messale che, nelle diocesi del Lazio, diventerà obbligatorio a partire dalla prima domenica di Avvento: a tal proposito l’Ufficio liturgico ha provveduto a diffondere fra i sacerdoti l’apposito documento illustrativo predisposto dalla Cei.

In vista dell’avvio dell’anno liturgico, il consueto incontro degli operatori pastorali ci sarà il giorno di Cristo Re: appuntamento, anch’esso online, domenica pomeriggio per tutti coloro – anche religiose e laici, oltre al clero – che operano nelle attività parrocchiali e dei gruppi.