Il vescovo Domenico: «Chi è piccolo è libero»

XVII domenica per annum – San Francesco



(Gen 2, 18-24; Eb 2, 9-11; Mc 10, 2-16)



“Ma dall’inizio della creazione (Dio) li fece maschio e femmina… Dunque l’uomo non divida quello che Dio ha congiunto”. Così Gesù replica ai farisei che lo interrogano sul divorzio. Già a quel tempo il problema non era tanto la sua liceità ma piuttosto la sua modalità. Mosè per primo aveva permesso l’atto del ripudio su iniziativa del marito. Si trattava solo di capire quali fosse le condizioni che permettevano di compiere questo gesto di rottura che era esclusivamente riservato al maschio, anche se l’evangelista Marco – che scrive per un ambiente greco-romano più avanzato – allude alla possibilità per la donna di fare lo stesso, non senza prima il consenso del marito.



Gesù rifacendosi al principio non intende proporre una norma più esigente che escluda il divorzio. Abilmente sposta il piano da quello giuridico a quello spirituale per mostrare che all’origine dell’umanità c’è una unità indivisa che sola garantisce l’umanizzazione. Il nucleo da cui tutto scaturisce è la coppia. Non solo sul piano biologico ma anche su quello esistenziale. Per questo solo “un cuore indurito” può acconsentire a devastare questa unità originaria da cui dipende tutto il resto. Si intuisce che per Gesù il ‘piccolo’ dell’unità tra maschio e femmina è quello che decide del ‘grande’ della società. Non c’è da aspettarsi nulla di buono da un contesto in cui viene meno la ‘piccola’ alleanza tra l’uomo e donna perché tutto il resto, anche il ‘grande’, rischia di essere costruito sulle sabbie mobili. Basta guardarsi attorno per trovare conferma.



L’originalità del Vangelo sta in questa capacità di ripartire sempre dal piccolo, di farne l’unità di misura della realtà, il criterio per entrare nel concreto. Lo conferma l’istantanea che segue, senza un evidente nesso letterario, nel brano appena proclamato, dove Gesù accoglie i piccoli, li abbraccia imponendo loro le mani, secondo il costume giudaico della benedizione. Il suo comportamento verso i bambini è in contrasto con la mentalità che si esprime nello stesso atteggiamento protettivo dei suoi discepoli che vogliono allontanare dal Maestro gli importuni genitori dei bambini. Gesù addirittura ‘si sdegna’, il che segnala una forte irritazione nel suo atteggiamento abitualmente sereno. E dice: ”Lasciate che i bambini vengano a me, non glielo impedite, perché il regno di Dio è di quelli che sono simili a loro”.



Perché il regno di Dio, cioè Dio preferisce il piccolo al grande, il bambino all’adulto? Non è tanto una questione di età, né di dimensioni quanto di atteggiamento che rivela nel bambino, alcune caratteristiche che fanno la differenza.



Chi è piccolo è leggero. A Natale Dio si è rivelato come un Dio leggero. L’esperienza quotidiana invece è contrassegnata piuttosto dalla categoria della pesantezza. Che richiama certi personaggi (non persone) che calcano la scena, prendendosi così sul serio che appesantiscono l’atmosfera. Pesante è soprattutto l’accumulo, lo stress da prestazione, la competizione esasperata. Cose tutte che contrastano con l’appello del Maestro: “Non affannatevi con preoccupazioni inutili”.



Chi è piccolo è libero. E’ il bambino che può dire tutto quello che vuole, non l’adulto. È il povero che può gridare che “il re è nudo!”. Il bambino non calcola, si sa, è immediato, è intempestivo. Chi è più libero di Gesù, seppure a caro prezzo? Farsi piccolo fa guadagnare in libertà. Come confida uno dei protagonisti del film “La grande bellezza”: “Sono arrivato ad un’età in cui non posso più permettermi il lusso di non di dire esattamente quello che penso, senza dover recitare la parte per compiacere. Non me lo posso più permettere!”.



Chi è piccolo è in relazione. Chi non sente di essere pieno, di essere tutto, di essere autosufficiente si apre alla relazione e alla comunione. Come il bambino che si affida fiducioso alle cure della mamma perché non ce la fa da solo, non saprebbe come sfamarsi, come vivere.



Chi è piccolo è Maestro. Ecco perché per Gesù il piccolo è il modello da imitare perché solo lui rivela quello che siamo. Come ammette in suo celebre apologo F. Nietzsche sulle metamorfosi dello spirito, secondo cui l’uomo prima diventa cammello (l’uomo che assimila e accumula), poi diventa leone (l’uomo che combatte,, che affronta la realtà), e, infine diventa bambino (l’enigma, l’apparizione dell’umano in un mondo belluino).



Leggero, libero, aperto, maestro. Non è forse questo il ritratto di S. Francesco? Qui a Greccio è più facile comprenderlo, di fronte al mistero della Natività che egli volle rappresentare dal vivo e che da qui si è diffuso in tutto il mondo nella forma del presepio. Il cui significato è l’elogio della piccolezza che sola ci fa entrare nella vita. Come chiede San Francesco al cavaliere Giovanni Velita, signore di Greccio: “Ecco vorrei che in qualche grotta della montagna che possiedi facessi collocare una mangiatoia con il fieno e vi conducessi un bue e un asinello così come erano a Betlemme. La notte di Natale verrò lassù e, tutti insieme, pregheremo nella grotta”.