È passato un anno dall’arrivo di mons. Vito Piccinonna alla guida della Chiesa di Rieti. Un anniversario che ha coinciso con la Domenica della Parola istituita da papa Francesco. Naturale leggere l’una cosa nell’altra, cogliere un’intima connessione tra ciò che sta al fondamento della Chiesa e chi viene chiamato alla sua guida. E su questo si è soffermato il vescovo nel presiedere l’Eucaristia in una Cattedrale che è ancora cantiere a causa dei restauri richiesti dal terremoto. Una situazione un po’ scomoda per i tanti che si sono ritrovati attorno a don Vito, ma che non ha fermato tanti reatini, compresa ovviamente buona parte del clero. Presente in Santa Maria anche una bella delegazione da Bitonto con i genitori e gli amici di parrocchia d’origine del vescovo.
«Sento il bisogno, assieme a voi, di rivolgere il nostro sguardo non verso qualcuno di noi, ma verso Gesù: l’unico e il sommo pastore della nostra vita, della nostra Chiesa, delle nostre anime», ha esordito mons. Piccinonna: «Senza di lui siamo persi, smarriti. Perciò si fa Buon Pastore per la nostra esistenza: abbiamo bisogno di lui, abbiamo bisogno di affezionarci a lui, di sentirci suoi».
Uno sguardo rivolto a Cristo che mons. Piccinonna invita a guardare con la lente di una speciale trilogia, cucendo insieme a quella della Parola l’altra giornata indetta da papa Francesco, quella dei Poveri, ed entrambe con la domenica del Corpus Domini. Per dire che «Il Signore si dona a noi nel pane eucaristico, nel pane della Parola, e nella vita di tanti fratelli e sorelle poveri e fragili».
L’esortazione è a chiedersi se «davvero noi le vogliamo conoscere queste vie del Signore». Perché sempre chiediamo che «benedica le nostre vite, ma non sempre abbiamo quello slancio della fede che ci fa correre ardentemente nella via dei suoi comandamenti».
Ma anche a questo servono la “Pasqua settimanale”, il riconoscersi Chiesa: a «incoraggiarci a vicenda, a sentirci popolo di Dio in cammino, a seguire l’unico maestro perché noi siamo tutti fratelli, tutti discepoli». Cioè ad essere “profetici”, perché «il profeta è anzitutto un uomo convertito dalla Parola, scomodato dalla Parola». L’annuncio viene dopo. Deriva dall’impossibilità di contenere la pienezza e l’appartenenza che Dio infonde nell’uomo. Profeta è chi ha cambiato visione, che non si arrende a ciò che sembra umanamente possibile, perché sa che è possibile per Dio.
«Dio è la novità che passa in mezzo a noi e ci chiama uno a uno: il nostro programma è camminare come popolo», ha aggiunto il vescovo parlando, tra gli impegni portati avanti nel suo primo anno alla guida della Chiesa di Rieti, delle visite compiute in tutte le realtà della diocesi, anche quelle molto piccole: «Se la geografia del nostro territorio porta quasi inevitabilmente a dividerci, il nostro Dna comunitario fa esattamente il contrario» e può averla vinta, «perché la comunità è molto più forte se siamo consapevoli che a monte c’è una chiamata che ci cambia lo sguardo, la direzione, il modo stesso di stare». Vale per ciascuno come per il vescovo: «si sta sotto, non sopra il Vangelo». E don Vito l’ha ribadito nel ricordo del momento in cui mons. Satriano gli ha consegnato il pastorale: «Questa Chiesa non è mia, non è vostra, non è nostra. Non appartiene alle nostre tattiche. Questa Chiesa è di Dio e saperla di Dio infonde grande fiducia e grande speranza».
Su questa scia il vescovo ha rivolto il pensiero a chi lo ha preceduto sulla Cattedra di Rieti dal fondatore san Probo al venerabile Massimo Rinaldi, aggiungendo un pensiero particolarmente grato a mons. Giuseppe Molinari, a mons Delio Lucarelli e mons. Domenico Pompili. Tutti pastori di un unico popolo e un’unica storia.
Un elemento sottolineato al termine della celebrazione da un dono inaspettato, consegnato dal parroco della Cattedrale e vicario per la Pastorale don Paolo Blasetti: un pastorale in ulivo. Un pezzo unico, realizzato da un artigiano con un legno che accomuna e lega il Reatino e la Puglia, «ma è anche la pianta che richiama a Gesù, che rimanda a quell’orto in cui ha combattuto la sua lotta per rispondere al Signore». Un dono, ha spiegato don Paolo, che i sacerdoti hanno pensato a nome di tutti i fedeli «per ricordarti che quando ci vedi disorientati, senza meta, ci cammini davanti, quando ci vedi affaticati, delusi, sofferenti, ci cammini accanto per sostenerci, e quando vedi che non andiamo da nessuna parte ci cammini dietro per sospingerci verso il regno del Signore».
A ribadire la gratitudine del popolo di Dio che è in Rieti verso il suo pastore per «l’annuncio della Parola» e della «speranza che non delude», di quella «gioia e speranza che hai scelto come motto episcopale», è stato invece il vicario generale, don Casimiro Panek, le cui parole hanno accompagnato l’emozione di un momento che si è poi sciolta nel calore di un applauso.
Nel ringraziare e salutare, a tutti il vescovo Vito ha chiesto di essere sempre ricordato nella preghiera, perché «la mia personale povertà non sia mai di ostacolo nel potervi servire e amare per tutto il tempo che il Signore mi dà da vivere in mezzo a voi».