Don Falabretti in dialogo con Michela Mondo, osservando la realtà dei giovani

Con Michela Mondo a interrogarsi sul… mondo dei giovani. Ancora non per ascoltarli, perché questo arriva il secondo giorno. Ma per “osservare”. Questo il verbo chiave del dialogo che la giornalista di Tv 2000 intesse con don Michele Falabretti. Un’esperienza abbastanza diversa, quella da cui proviene il sacerdote chiamato a dirigere a livello nazionale la Pastorale giovanile, quale quella bergamasca, ben più ricca di energie e tradizioni nell’accostarsi delle comunità cristiane alla realtà dei ragazzi. Ma dal responsabile del Servizio per la Pastorale giovanile della Cei arrivano, su stimolo delle domande poste dall’intervistatrice, alcune sollecitazioni a interrogarsi su questo mondo che appare sempre più sfuggente rispetto alle istanze e abitudini della comunità ecclesiale.

Cominciando da fatto che i grandi desideri, cui la proposta evangelica offre una pista per rispondere, sembrano non interessare più di tanto ai giovani di oggi presi da interessi ben più “terra terra”. Ma non è forse, risponde don Falabretti, questo dare priorità all’apparire, al possedere, ciò che abbiamo fatto trovare, come adulti, alla gioventù? La scommessa educativa, dunque, è proprio quella di saper far sorgere queste domande profonde. E per farlo occorre essere ancora dei maestri, perché c’è ancora bisogno di qualcuno che insegni: purché lo faccia non “cattedraticamente”, ma con uno stile di vita, da testimone.

La Mondo continua a provocare e chiede se anche la Chiesa non si sia un po’ troppo nascosta rinunciando a un’evangelizzazione forte e diretta… Ma, risponde il sacerdote in forza alla Cei, non dobbiamo correre il rischio di apparire noiosi e “aggressivi” «come i Testimoni di Geova che vengono a suonarti a casa la domenica mattina presto»… Piuttosto avere una capacità di dare forma al Vangelo riuscendo a educare «nel creare contesti di relazione, come don Bosco nella Torino dell’Ottocento che raccoglieva i ragazzi e offriva ciò che allora serviva, scuola e lavoro, e facendo loro vivere un’esperienza di vita in comunità attraverso l’oratorio».

E ce n’è anche per la liturgia. I ragazzi, dice chiaramente la giornalista, a Messa ci vengono mal volentieri… Ma come evitare di fare delle Messe “rinunciatarie” senza più il senso del sacro per cercare di attirarli e al tempo stesso far sì che vi si trovino bene? Don Falabretti prova a dire la sua: buone omelie sì (e qui come preti «dobbiamo imparare a ritornare umilmente alla Parola: se sentiamo di avercela tutta già in tasca non ci siamo! Non esitiamo a prenderci del tempo per meditare quella Parola!»), canti e ambienti accurati (ma attenti, dice, a non cadere nella tentazione di fare «celebrazioni come delle fiction, belle cerimonie che non sono celebrazione reale, cosa che spesso avviene in celebrazioni come quelle dei matrimoni o delle prime comunioni…»); ma soprattutto un ambiente accogliente come comunità, non dove ci sono delle “esclusive” (il “diritto acquisito” di chi canta, chi legge… e guai a chi mi soffia il posto!) ma ci si sente davvero a casa. Altrimenti, dice senza peli sulla lingua don Michele, come dargli torto se la domenica mattina preferiscono restare a letto?