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Giornata del migrante, il vescovo: «non è possibile creare forme di separatezza»

«Accogliere, promuovere, proteggere e integrare»: è nella declinazione di questi quattro verbi che si articola il Messaggiodi papa Francesco in occasione della Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato. Un’indicazione ripresa in occasione della celebrazione svolta durante la mattinata di domenica 14 gennaio nella parrocchia di Santa Barbara in Agro in Chiesa Nuova.

La giornata è iniziata con la messa presieduta dal vescovo Domenico, alla presenza di quanti a vario titolo sono coinvolti nell’accoglienza e nella presa in carico dei migranti, dei rifugiati, dei profughi e delle vittime della tratta.

«Teniamo sempre a mente il periodo in cui i migranti eravamo noi» è stato il monito del vescovo, che ha preso spunto dalla recente scoperta dei “neuroni specchio” per sottolineare come «il nostro io coincide quello degli altri. In natura esiste una corrispondenza diretta tra noi e gli altri e non è possibile creare forme di separatezza».

Il fenomeno delle migrazioni è stato affrontato dal vescovo analizzandolo nella sua complessità, attraverso tutte le dinamiche che in esso sono incluse, senza negare eventuali implicazioni ambigue nella gestione pratica delle cooperative: «tuttavia, è necessario non perdere di vista il grande lavoro che si fa, ed il suo fine ultimo: quello dell’accoglienza finalizzata all’integrazione».

Al termine della celebrazione liturgica – concelebrata dal direttore diocesano della Caritas, don Fabrizio Borrello, con il supporto del diacono Arnaldo Proietti, direttore dell’Ufficio Migrantes – è stato significativo l’incontro tra i “protagonisti” della giornata e il vescovo, rimasti in chiesa insieme agli operatori delle cooperative sociali che hanno risposto all’invito della Diocesi. Un po’ di imbarazzo iniziale, poi il ghiaccio si è sciolto in fretta e si sono alternati al microfono per una breve auto-presentazione i ragazzi arrivati in Italia dalla Nigeria e da altre regioni del mondo in difficoltà politica o umanitaria. Poche parole pronunciate in un italiano stentato, ma più cariche di significato di qualsiasi ampollosa cerimonia: «grazie a tutti, ci piace stare qua tutti insieme». E insieme ci si è raccolti poi nella canonica, per proseguire con gioia e comunità il festeggiamento di una giornata che è andata finalmente al di là di ogni divergenza sociale e razziale: «per superare la paura e la diffidenza, e germogliare anziché ristagnare».

La giornata, nelle intenzioni del vescovo Domenico, dovrà trovare continuità nei prossimi anni sempre con l’intento di affrontare un’emergenza più umanitaria che politica. E poi, l’idea di inventare una “kermesse” che possa contribuire a mettere in evidenza i risvolti positivi del fenomeno, coinvolgendo anche i comuni e tutti gli enti locali, perché affrontino la questione con positività, magari coinvolgendo gli ospiti delle cooperative in un più ampio programma di ripopolamento dei paesi, superando la fatica che fa la nostra società, in forte calo demografico. E forse questo è il punto: non sfugge al vescovo quale rivoluzione culturale sia l’accoglienza dello straniero per una società che fatica «ad accogliere perfino i propri figli».

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Accumoli spera. Il vescovo Domenico inaugura il nuovo Centro di comunità

Chiamati, come il giovane Samuele e i primi discepoli che trovarono il Messia. Chiamati, in questo caso, a ricominciare. Prende spunto dalle letture della liturgia domenicale il vescovo di Rieti Domenico Pompili per il suo invito alla gente di Accumoli a riprendere, per quel che è possibile, la vita ordinaria spezzata dallo sciame sismico che un anno e mezzo fa ha sconvolto quest’ultimo lembo di diocesi e provincia reatina incuneato tra Umbria, Marche e Abruzzo. E come segno di ripresa si pone l’ennesimo centro di comunità realizzato da Caritas italiana sul territorio, inaugurato ieri pomeriggio.

Struttura particolarmente importante per il territorio, dove l’intero paese risulta zona rossa e chi è tornato ad abitarvi è concentrato nel nuovo agglomerato posto nella spianata realizzata accanto al cimitero. È qui che sorge il prefabbricato destinato – presumibilmente per i prossimi anni, aspettando la ricostruzione– a fare da punto di raccolta della comunità parrocchiale accumolese. All’interno, una degna aula liturgica, nella quale si è voluto anche collocare la statua della Madonna Addolorata, assai cara ai fedeli del luogo, appositamente recuperata dal deposito che ospita le tante opere d’arte sacra salvate dalle chiese terremotate. Con il rito di benedizione di altare e ambone, compiuto ieri dal vescovo durante la Messa da lui presieduta, è ufficialmente aperta questa struttura prefabbricata che si può a tutti gli effetti considerare una chiesa, ancorché provvisoria.

Un segno, ha detto il presule, «che tutto può venir meno, non la certezza che siamo chiamati a ricominciare. E si ricomincia a partire da Dio che ci convoca sempre di nuovo». Non un semplice centro di aggregazione, ruolo peraltro già ben ottemperato dalla struttura polivalente che il Comune ha già aperto a pochi passi dalla cappella che si pone principalmente come luogo di culto: «Qui verremo non per ‘intrattenerci’ tra noi, ma per ‘trattenerci’ con Lui. Oggi tutto tende all’intrattenimento, mentre il nostro cuore cerca di essere trattenuto da Qualcuno. E avrà un’altra funzione questa modesta struttura. Ciò che blocca la ricostruzione non è solo la burocrazia, ma la frenesia di ciascuno di farsi strada da solo, contro tutti». Alla celebrazione era presente l’intera comunità, in testa il sindaco Stefano Petrucci. Ad affiancare il vescovo, oltre ai sacerdoti che operano in zona, il direttore della Caritas nazionale don Francesco Soddu, con il suo collaboratore don Andrea La Regina, e di quella diocesana, don Fabrizio Borrello.

Quest’ultimo non manca di evidenziare quanto importante sia tornare ad avere almeno un ‘surrogato’ di chiesa parrocchiale per un paese ‘sfollato’ alla sua periferia: se il primo terremoto del 24 agosto 2016 aveva fatto provocato un grave lutto (con una famiglia distrutta dal crollo del campanile rovinato sulla loro abitazione) ma aveva risparmiato molte case, le successive scosse di fine ottobre hanno praticamente sbriciolato gli edifici di Accumoli o reso impraticabili i pochi rimasti in piedi. Così il paese, con gli accessi presidiati dai militari, è tuttora chiuso.