Storia della diocesi

Le origini

La diocesi reatina si costituì quando ormai il processo di diffusione del cristianesimo, avviato fin dai primi secoli nell’intero territorio reatino-sabino, era definitivamente compiuto: la serie dei vescovi reatini, inaugurata secondo la tradizione intorno alla metà del I secolo da san Prosdocimo, registra solo episodicamente il nome di altri prelati a capo della Chiesa locale. Le fonti storiche concordano nell’attribuire a Prosdocimo l’evangelizzazione del pagus sabino. Tuttavia è solo dopo il 491, quando i documenti conservano il nome del vescovo Probiano, che la sequenza dei presuli si fa più regolare, attestando dunque una tradizione ormai consolidata.

L’alto medioevo

Durante i secoli dell’alto medioevo la Chiesa reatina consolidò gradualmente le proprie strutture radicandosi nel territorio, assoggettato ai longobardi e incluso nel ducato di Spoleto fin dal 584. Tale conquista per quasi mezzo secolo portò alla dipendenza di Rieti dalla diocesi di Spoleto. La costituzione del gastaldato reatino, che si estendeva dal Tevere al fosso Corese, dal corso del Velino al Turano, portò al consolidamento dei confini della Sabina romana con l’erezione della diocesi suburbicaria costituita mediante l’unificazione a Vescovio delle tre diocesi di campagna di Cures, Nomentum e Forum Novum.

Fra il 773 e il 774 Carlo Magno eresse a contea il territorio reatino, che entrò nell’orbita carolingia e si sottomise all’autorità di papa Adriano I.
Solo sul finire del X secolo cessarono le incursioni dei saraceni, che distrussero la città sabina di Trebula Mutuesca e devastarono il territorio reatino fino ad attaccare la comunità benedettina di San Michele Arcangelo lungo la sponda sinistra del fiume Velino.

Fedele al papato: la diocesi nel basso medioevo

Fino al XII secolo Rieti costituì l’estremo avamposto del potere imperiale nell’ambito territoriale del Reichsitalien. Nel 1149 la città subì l’assedio da parte di Ruggero di Sicilia e fu ricostruita, fra il 1154 e il 1156, con il contributo di Roma e delle terre vicine.

Nel 1198, infine, Rieti si pose sotto la protezione di papa Innocenzo III e si dette assetto di libero comune dotandosi dei primi statuti civici.
In queste vicissitudini, la Chiesa locale seppe mantenersi fedele al’’autorità pontificia, meritando che Rieti, con la sua posizione strategica ai confini con il regno meridionale, potesse assurgere al rango di residenza papale. Al tempo delle invasioni saracene, intorno alla metà del IX secolo, aveva già risieduto a Rieti papa Leone IV. Nell’arco di cento anni, tra la fine del XII e la fine del XIII secolo, si succedettero presso la sede della curia reatina i papi Innocenzo III (1198), Onorio III (rispettivamente nel 1219 e nel 1225), Gregorio IX (nel 1227, nel 1232 e ancora nel 1234), Niccolò IV (fra il 1288 e il 1289) e Bonifacio VIII (nel 1298). La presenza dei pontefici fece di Rieti il teatro di avvenimenti importanti per la storia della Chiesa: a parte i celebri soggiorni di Francesco d’Assisi nella valle reatina, sono da ricordare la canonizzazione di Domenico di Guzman, elevato alla gloria degli altari da papa Gregorio IX nel 1234, l’unzione di Carlo II d’Angiò re di Sicilia e di Gerusalemme, compiuta il 29 maggio 1289 da Niccolò IV, il capitolo generale dei Minori presieduto dallo stesso pontefice.

Alla presenza della curia pontificia si deve l’erezione del maestoso palazzo progettato nel 1283 dall’architetto Andrea magister e portato a compimento cinque anni più tardi, sotto l’episcopato di Pietro Gerra (1278-1286). Nel 1298, quando la città fu colpita da un devastante terremoto, papa Bonifacio VIII volle compiere un importante intervento urbanistico, facendo rinsaldare la mole del palazzo mediante l’erezione di un arco a doppia crociera che reca nei pilastri le sue insegne.

Ormai entrato stabilmente a far parte del Patrimonium sancti Petri, il territorio reatino vedeva i suoi confini orientali fungere da linea di demarcazione fra i possedimenti pontifici e il regno meridionale: per i due terzi, anzi, il territorio diocesano includente il Cicolano si estendeva nel regnum. La delicata questione dei labili confini fra quest’ultimo e il Patrimonio di San Pietro indusse più volte i vescovi reatini a chiederne all’autorità pontificia la puntuale definizione. Già nel 1182 era stato emesso dalla curia, su richiesta dell’episcopato reatino, un documento per mezzo del quale papa Lucio III rassicurava il vescovo reatino Benedetto «ut Universae Parochiae fines sicut a tuis antecessoribus usque hodie possessi sunt, ita omnino integra tam tibi, quam tuis successoribus in perpetuum conserventur». Il documento della cancelleria papale descriveva dettagliatamente i confini del territorio amministrato dalla diocesi, enumerando sia i titoli delle chiese sia i toponimi e procedendo in senso orario da settentrione con i valichi subappenninici e il corso del Tronto e del Corno, a est verso l’Abruzzo fino a Canemorto, a sud dalle acque termali del Farfa e del Galantina, a ovest dalle montagne del Tancia. Il testo pontificio precisava che entro tali confini «plebes omnes cum Capellis, vel Ecclesijs, et quidquid in presentiarum iuste, et canonice possides, aut in futurum concessione pontificum, largitione Regum, vel Principum, oblatione fidelium, seu alijs modis, praestante Domino, poteris adipisci, firma tibi, tuisque successoribus, et illibata permaneant in quibus haec propriis duximus exprimenda vocabulis». Nel 1257, papa Alessandro IV avrebbe ridisegnato i confini orientali, sopprimendo la diocesi di Forcona per istituire ex novo la diocesi dell’Aquila, fondata tre anni prima per volontà di Federico II, e includendo nel suo territorio all’incirca 150 chiese già soggette all’episcopato reatino.

Quando alla morte repentina di papa Benedetto XI (1304) seguì l’elezione del guascone Bertrand de Got e la sede pontificia si trasferì ad Avignone, la città di Rieti ne subì inevitabili conseguenze, travagliata dalle contese fra guelfi e ghibellini ed esposta alle ingerenze dei re di Napoli. Anche qui, inoltre, la popolazione fu falcidiata dalla peste nera del 1348. Nel 1354, la città aderì al progetto di restaurazione dell’autorità pontificia perseguito dal cardinale Albornoz e venti anni più tardi rimase fedele al papa nel corso della guerra degli Otto Santi (1375).
Al ritorno di papa Gregorio XI, la città retta da Cecco Alfani promise obbedienza all’autorità pontificia, ottenendone in cambio la conferma degli antichi privilegi.
Una pagina luttuosa nella storia della Chiesa reatina registra la morte del vescovo Ludovico Alfani (1397), ucciso a Cittaducale dove si era recato per presiedere una cerimonia religiosa. Il fallimento del progetto di insignorimento posto in opera da Rinaldo Alfani nei primi anni del XV secolo portò all’esilio gli esponenti della potente famiglia. Il comune ne confiscò i beni e trasferì la sua sede istituzionale dagli edifici di piazza del Leone al palazzo di proprietà degli Alfani, quasi a rendere manifesta la solidità delle istituzioni.

Le modifiche territoriali della prima età moderna

Nel corso del Quattrocento la Chiesa reatina aveva vissuto una stagione propizia, guidata da vescovi accomunati dall’impegno alla guida spirituale e morale del gregge dei fedeli, al consolidamento delle strutture amministrative, all’ampliamento e all’abbellimento del patrimonio architettonico e artistico. Ma agli inizi del XVI secolo un nuovo fatto intervenne a rompere la condizione di equilibrio che il secolo precedente aveva assicurato: con una bolla datata 24 giugno 1502 il territorio di Cittaducale fu enucleato dalla diocesi e la città di fondazione angioina fu elevata al rango di sede vescovile per volontà di papa Alessandro VI.

A causa del modestissimo appannaggio il primo vescovo designato, Ulisse Orsini, rifiutò l’incarico, che fu allora affidato a Matteo Mongiani, vassallo di casa Orsini, il quale di fatto non mutò la sua residenza fin quando fu trasferito alla guida della diocesi di Calvi.  Alla morte di Alessandro VI, il vescovo reatino cardinale Giovanni Colonna ottenne che la diocesi civitese fosse soppressa e riaccorpata a Rieti, ma nel 1508 papa Giulio II riconfermò la costituzione della diocesi di Cittaducale e vi inviò come vescovo Giacomo Alfarabi, un sacerdote reatino originario di Leonessa.

Il territorio della nuova diocesi, caratterizzato dalla modesta estensione e dalla labilità dei confini, viene descritto puntualmente nella Relatio ad limina presentata nel 1594 dal vescovo Giovanni Francesco Zagordo, che enumera gli insediamenti di Cittaducale, sede della curia, con le ville di Santa Rufina, Ponzano, Micciani, Castel Sant’Angelo con le ville di Canetra, Paterno, Mozza e Ponte, Cantalice, Lugnano, Borgo, Colle Rinaldo, Rocca di Fondi, Pendenza, Calcariola, Grotti.

Quanto al territorio della diocesi reatina, esso presentava ormai la forma di un ferro di cavallo, orientato con la parte concava a est. Qui la diocesi aquilana si estendeva fino a Cittaducale, arrivando a lambire il territorio di Antrodoco; a nord si susseguivano i confini delle diocesi di Ascoli, di Spoleto e di Terni, mentre l’ampio confine meridionale era articolato dalle competenze delle diocesi di Sabina e dei Marsi. L’abbazia di San Salvatore Maggiore costituiva una sorta di enclave all’interno del territorio diocesano. I centri maggiori della diocesi di Rieti erano rappresentati dunque da Greccio, Poggio Bustone, Contigliano, Monte San Giovanni, Rocca Sinibalda, Castel di Tora, Collalto, Pescorocchiano, Petrella, Corvaro, Posta, Borbona, Montereale, Campotosto; Leonessa era divisa a metà tra la diocesi reatina e quella di Spoleto.

Quasi tre secoli dopo la sua istituzione, nel 1818, la sede vescovile di Cittaducale fu soppressa nell’ambito del riassetto dello Stato pontificio compiuto da Pio VII in pieno clima di Restaurazione e il suo territorio fu incorporato nell’arcidiocesi dell’Aquila. Solo nel 1976 il comprensorio dell’ex-diocesi di Cittaducale, che oltre alla collegiata di Santa Maria del Popolo includeva le parrocchie di numerosi borghi tra i quali Cantalice e Santa Rufina, è stato ricongiunto alla diocesi reatina.

Dalla Controriforma all’unità d’Italia

La Chiesa reatina visse con singolare impegno la stagione della Riforma cattolica. Ben quattro dei suoi vescovi presero parte attiva alle sessioni del concilio di Trento: Mario Aligeri Colonna (1529-1555), Giovanni Battista Osio (1555-1562), il cardinale Marcantonio Amulio (1562-1570), Mariano Vittori (1572).

Si deve soprattutto all’operato del veneziano Amulio l’attuazione dei decreti conciliari, in particolare in ordine alla formazione del clero. Il cardinale, assicuratosi il sostegno delle autorità civili sia a Rieti sia nel territorio soggiacente al regno di Napoli, provvide tempestivamente all’istituzione del Seminario diocesano, che vanta il primato della fondazione in ottemperanza ai decreti conciliari. Esso fu solennemente inaugurato il 4 giugno 1564 nella sede messa a disposizione dalle autorità civili: l’antico palazzo del Podestà sito in piazza del Leone, ristrutturato da Jacopo Barozzi da Vignola. Fin dall’apertura vi furono attuati i regolamenti previsti per il Collegio Romano. Due secoli più tardi, nel 1764, il vescovo Giovanni De Vita (1764-1774), laureato in utriusque iure e noto a Benevento come l’avvocato dei poveri, avrebbe dotato la pia istituzione reatina di regole proprie riguardo all’organizzazione dei corsi, all’attività didattica, alle norme di vita comune.

Nel 1564 Il cardinale Amulio si era premurato inoltre di indire due sinodi da cui derivarono costituzioni e decreti di cruciale importanza per la Chiesa reatina. La tradizione sinodale fu ripresa dai vescovi che si susseguirono nel corso dei secoli XVII e XVIII, in particolare dal cardinale Pietro Paolo Crescenzi (1612-1621), da Giorgio Bolognetti (1639-1660), da Ippolito Vincentini (1660-1702), da Bernardino Guinigi (1711-1724) e dal domenicano Antonino Serafino Camarda (1724-1754). Quest’ultimo provvide inoltre al riassetto del patrimonio architettonico della diocesi, gravemente danneggiato dai violenti terremoti del 1703 e del 1730.

Intanto si esasperavano i rapporti sempre delicati fra la curia vescovile e il regno napoletano, che ostacolava in ogni modo le visite pastorali nel territorio del Cicolano: anche la soluzione di istituire il vicariato di Regno si rivelò nel complesso infruttuosa.

L’età delle rivoluzioni, la breve stagione della Repubblica romana e della Repubblica napoletana, nonché l’avvento di Napoleone investirono il vescovo Saverio Marini (1779-1813) della responsabilità di mediare con il governo, espressione di una borghesia emergente spesso animata da sentimenti anticlericali. I vescovi della Restaurazione, da Carlo Fioravanti (1814-1818) a Francesco Pereira (1818-1824), da fra Timoteo Ascensi (1824-1827) a Gabriele Ferretti (1827-1833), da Benedetto Capelletti (1833-1834) a Filippo Curoli (1834-1849) fino a Gaetano Carletti (1849-1867), amministrarono la diocesi con equilibrio e dedizione fino a quando la città rimase fedele alle sorti dello Stato della Chiesa.

Dal 1861 a oggi

Nel 1861 Rieti entrò, per effetto dell’annessione, a far parte del regno d’Italia. Il vescovo Carletti, convinto assertore del potere temporale dei papi, emanò allora direttive prudenti, che contribuirono a mantenere un clima di relativa calma.
Ciò non impedì le devastazioni provocate dall’attuazione delle leggi eversive, applicate fin dall’11 dicembre 1860 nel territorio già appartenente allo Stato Pontificio e tra il gennaio e il febbraio 1861 nelle terre in precedenza del regno di Napoli. Anni difficili si presentarono per diversi vescovi reatini: il domenicano Egidio Mauri (1867-1888), Carlo Bertuzzi (1888-1894), Bonaventura Quintarelli (1894-1915) e Francesco Sidoli (1916-1924).

L’unità d’Italia accelerò i tempi di attuazione della revisione dei confini fra le diocesi di Spoleto e di Rieti, che secolarmente avevano attraversato l’abitato di Leonessa. Più tardi, nel 1925, per effetto della costituzione apostolica In altis Sabinae montibus papa Pio XI avrebbe decretato l’annessione alla diocesi delle parrocchie un tempo sotto la giurisdizione dell’abbazia di San Salvatore Maggiore.

Il reatino mons. Massimo Rinaldi (1924-1941), missionario scalabriniano in America del Sud di cui si è avviato il processo di canonizzazione, fu il vescovo protagonista dei Patti lateranensi, zelante nell’impegno pastorale, attivo nella difesa dei più deboli, fautore dell’Azione Cattolica e dell’associazionismo giovanile. Con pari dedizione, il francescano fra Benigno Luciano Migliorini (1941-1951) guidò la diocesi negli anni difficili della guerra e della ricostruzione.

Mons. Raffaele Baratta, vescovo fra il 1951 ed il 1959, nel 1957 indisse il sinodo diocesano, dopo oltre due secoli dall’ultimo, compiuto nel 1749. Mons. Nicola Cavanna (1960-1971) e il suo successore mons. Dino Trabalzini (1971-1980) guidarono la diocesi nel cammino di rinnovamento indicato dal Concilio Vaticano II. Mons. Francesco Amadio (1980-1989) ricevette, in occasione dell’VIII centenario francescano, la visita di papa Giovanni Paolo II a Rieti e al santuario di Greccio. Mons. Giuseppe Molinari (1990-1997) ha avviato il recupero della basilica duecentesca di San Domenico, restituita al culto in occasione del Giubileo del 2000 sotto l’episcopato di mons. Delio Lucarelli, il quale, ordinato in San Pietro il 6 gennaio 1997, ha retto la diocesi fino al 2015, quando papa Francesco ha eletto alla cattedra episcopale reatina mons. Domenico Pompili.

A tutt’oggi, l’estensione della diocesi copre all’incirca per tre quarti il territorio della provincia di Rieti (km2 1.968 su 2.749): trenta comuni costituiscono, insieme con numerosi altri centri della Sabina romana, la diocesi suburbicaria di Sabina-Poggio Mirteto; due comuni e alcune frazioni fanno parte della diocesi di Terni-Narni-Amelia; tre comuni, infine, rientrano nel territorio della diocesi di Tivoli.