Si può morire di speranza?

Si può morire di speranza? A partire dal tema della Giornata Mondiale del Rifugiato il vescovo Domenico ha dovuto riconoscere che «Stando alla cronaca degli ultimi decenni la risposta è tragicamente affermativa: sono decine di migliaia le persone che si sono messe in viaggio alla ricerca di un mondo diverso e che purtroppo hanno perso la vita strada facendo».

In un breve video realizzato per la ricorrenza mons Pompili ha dunque sottolineato che «È ancora urgente far crescere la sensibilità intorno al fenomeno migratorio», anche perché, a ben vedere, esso «coincide con l’umanità, poiché da sempre l’uomo è in cammino e le diverse latitudini si mettono in cammino a seconda dei periodi storici stiamo interpretando».

Nel nostro tempo, ha aggiunto il vescovo, «è papa Francesco la voce più scomoda, ma anche la più diretta rispetto a questo fenomeno». Come quanto al numero 54 della Evangelii gaudium, al numero scriveva, riferendosi al nostro mondo occidentale, che «quasi senza accorgercene diventiamo incapaci di provare compassione dinanzi al grido di dolore degli altri, non piangiamo più davanti al dramma degli altri, né ci interessa curarci di loro, come se tutto fosse una responsabilità a noi estranea che non ci compete».

«Per vincere questo esonero della responsabilità – ha concluso don Domenico – l’esperienza da cui siamo appena usciti, quella del coronavirus, ci torna utile perché mai come in questa fase ci siamo resi conto di quanto siamo tutti connessi: nessuno se la cava da solo e siamo tutti sulla stessa barca. Ritrovare queste persuasioni ci aiuterà a far sì che anche sul nostro territorio il problema delle migrazioni più che evocare posizioni divisive o competitive faccia invece riemergere una visione più globale e autenticamente solidale, perché dal destino degli altri dipende anche il nostro, e viceversa».