Avere un cardinale “in casa” non è cosa di tutti i giorni. Per Rieti significa riandare ai tempi dei cardinali reatini Canali, Tedeschini, D’Annibale: prelati nativi della diocesi che erano stati insigniti della porpora cardinalizia.
Stavolta la notizia, giunta a sorpresa l’altra domenica all’Angelus, è che la scelta di papa Francesco era caduta su un “acquisito”: il cappuccino marchigiano (è nato 86 anni fa a Colli del Tronto, nell’Ascolano) Raniero Cantalamessa. “Acquisito” perché il predicatore della Casa Pontificia, noto per essere autore di numerosi testi spirituali oltre che per le sue seguitissime apparse televisive, da alcuni anni vive, quando è libero dai propri impegni, a Cittaducale, nell’Eremo dell’Amore Misericordioso.
Questo il nome assunto dal sito civitese che accoglieva fino a quindici anni fa il convento dei Frati Minori Cappuccini, che l’allora Provincia Romana dell’Ordine volle mettere a disposizione della comunità claustrale di cui Cantalamessa è padre spirituale: le monache Clarisse Cappuccine Eremite.
Un monastero, spiega il religioso, che «non è una nuova fondazione, perché le monache vivono secondo la Regola di santa Chiara e le Costituzioni delle Clarisse Cappuccine; la particolarità è che, seguendo l’impulso dello Spirito, hanno deciso di aggiungere alla vita claustrale clariana anche la vita degli Eremi di san Francesco», con apposita approvazione di uno statuto aggiuntivo da parte del competente dicastero vaticano (la Congregazione per gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica). «Io le conoscevo quando ancora erano nel monastero di origine ed ho seguito tutto il loro iter spirituale e giuridico. Quando sono giunte a Cittaducale, nel cuore mi è sorto il desiderio di poter vivere anch’io la vita eremitica così tanto amata dal mio Padre san Francesco e, con il permesso del mio ministro generale, mi sono trasferito lì per passarvi i tempi in cui non vado in giro a predicare, condividendo con loro la solitudine e la preghiera. Con l’avanzare dell’età, sto diminuendo gli impegni per cui la mia vita si alterna tra l’Eremo e la Curia Generalizia dei Frati Cappuccini che è la comunità a cui appartengo».
È dall’eremo di Cittaducale, dunque, che padre Raniero ha benevolmente concesso alla stampa diocesana questa intervista.
Quando e come, padre, ha saputo la notizia della nomina cardinalizia? Nessuna anticipazione?
«Come è costume di papa Francesco, ho ricevuto la notizia come gli altri, ascoltando in diretta l’Angelus del papa domenica 25 ottobre. Se non fosse che porto un cognome così inconfondibile in quel momento avrei pensato che si trattasse di qualche altra persona!».
Verrà ordinato vescovo? O chiederà al Santo Padre la dispensa per restare semplice prete?
«Dal momento che c’è questa possibilità, ho chiesto al Santo Padre la dispensa dall’ordinazione episcopale. L’ufficio del vescovo (come dice il titolo di un mio recente libro di esercizi spirituali per vescovi) è di essere pastore e pescatore. Alla mia età (86 anni) c’è ben poco che potrei fare come “pastore”; d’altra parte, quello che potrei fare come “pescatore” posso continuarlo a fare annunciando la parola di Dio. Un altro motivo è il desiderio di morire con il mio abito francescano: cosa che difficilmente mi avrebbero permesso di fare se fossi stato vescovo».
È la prima volta che il predicatore della Casa Pontificia ottiene la porpora? Qual è il valore di questa nomina rispetto a tale ufficio? Continuerà a esserlo anche da cardinale?
«Non sono il primo predicatore della Casa Pontificia, un tempo detto Predicatore Apostolico. Lo furono anche padre Anselmo Marzati di Monopoli, che papa Clemente VIII nominò a tale carica nel 1595 e creò cardinale il 9 giugno 1604; padre Francesco Maria Casini, nominato Predicatore apostolico da Innocenzo XII nel 1698 e fatto cardinale da Clemente XI nel 1712; padre Ludovico Micara da Frascati, che Pio VII nominò Predicatore Apostolico nel 1819 e Leone XII cardinale nel 1826. Molto più estesa è la lista dei Predicatori consacrati vescovi e arcivescovi nel corso della storia. Il luogo e i tempi di predicazione ai Sacri Palazzi sono cambiati nel corso del tempo. Oggi la predicazione si tiene ogni venerdì mattina durante l’Avvento e la Quaresima in presenza del Papa, dei cardinali, prelati, superiori generali degli ordini religiosi, e anche membri del personale, maschile e femminile, che lavora in Vaticano. Solo il Venerdì Santo la predica si tiene nella Basilica di San Pietro durante la commemorazione della Passione. Infine, per rispondere alla sua terza domanda, le dico che il Santo Padre mi ha fatto sapere che desidera che continui nel mio ufficio di Predicatore e mi sono già messo all’opera per le prediche di Avvento che quest’anno si terranno nell’Aula Paolo VI, per consentire il dovuto distanziamento richiesto dall’epidemia».
Come cambierà la sua vita? Continuerà come ora a vivere, al di fuori degli impegni vaticani, nell’eremo di Cittaducale?
«La nomina di cardinali ultraottantenni, come si sa, non comporta impegni pastorali particolari. Quindi, grazie a Dio e al Papa, potrò continuare a fare la vita di sempre: predicare nei limiti imposti dall’età – e, al momento presente, dalla pandemia – e risiedere, con alcune monache clarisse cappuccine, nell’Eremo dell’Amore Misericordioso di Cittaducale, pur facendo sempre parte, come Predicatore della Casa Pontificia, della Curia Generale dei Cappuccini in Roma».
Avendo superato gli ottant’anni non sarà tra i cardinali elettori in un eventuale conclave. Però sarà comunque nel collegio cardinalizio, quindi tra i “consiglieri” diretti del Papa… È più un onore o un onere?
«“Consigliere del Papa”? Perché no, ma soltanto indirettamente, nel senso che il Papa, senza che io lo sappia, può trarre qualche lume dalla parola di Dio che annuncio. Nei due conclavi precedenti, quello per l’elezione di Benedetto XVI e di papa Francesco, sono stato chiamato a farlo anche direttamente, tenendo, su richiesta del Sacro Collegio, una delle due esortazioni che i cardinali devono ascoltare prima di entrare in conclave»
Lei è stato per anni conduttore del programma sul Vangelo domenicale di Raiuno il sabato pomeriggio. Secondo lei come è cambiata, in questi anni, la comunicazione religiosa? Giornali e tv hanno ancora spazio per comunicare la fede nell’era di Internet?
«Quando il mio confratello padre Mariano da Torino teneva la sua rubrica religiosa, negli anni Cinquanta e Sessanta, la televisione italiana aveva un solo canale; quando ho cominciato io a spiegare il Vangelo della Domenica c’erano già tre canali ai quali si aggiunsero ben presto quelli di Mediaset. L’offerta era dunque molto più ricca e l’audience, di conseguenza, sempre più ridotta. Ora i canali e i siti internet a contenuto religioso sono pressoché infiniti, in Italia e nel mondo. Sono aumentate le possibilità di alimentare la propria fede. È aumentata anche la qualità? Non sono competente per dare una risposta, né credo che ci sia una risposta unica. Come è nella natura di una comunicazione divenuta così capillare e planetaria, c’è del buono, dell’ottimo e purtroppo tanta zavorra. La religione e il vangelo sono esposti a essere un pretesto per interessi che non hanno nulla a che vedere con il Vangelo e non favoriscono davvero la concordia e l’unità tra i credenti e tra gli uomini in generale. Ci sono tanti sfoghi personali. Però, dicevo, c’è tanto del buono e dell’ottimo. In questi ultimi tempi, per esempio, ho scoperto un sito americano dove un vescovo cattolico, monsignor Robert Barron, ausiliare di Los Angeles, tiene conferenze e omelie profonde, accessibili e avvincenti che registrano ascolti dell’ordine di centinaia di migliaia dopo un giorno o due che sono presenti in rete. Una forma di evangelizzazione impensabile con altri mezzi».
Un ultimo pensiero per il territorio diocesano reatino, terra francescana che si onora di avere nei suoi “confini” un cardinale francescano…
«La terra reatina ha ben altri motivi di onorarsi che quello di ospitare un cardinale! Si direbbe che Francesco d’Assisi avesse un debole per questa terra se ha scelto Fonte Colombo, Poggio Bustone, Greccio, La Foresta come luoghi di soggiorno e di preghiera. In Rieti città egli dimorò spesso. Qui si sottopose a quella terribile cura degli occhi con “frate fuoco” che, sulla preghiera del santo, si mostrò gentile con lui e non gli procurò alcun dolore, mentre gli astanti piangevano e si voltavano dall’altra parte per non vedere. La diocesi di Rieti è stata benedetta dal passaggio di san Francesco e ora ha un vescovo, monsignor Pompili, che coglie ogni occasione per ravvivare nei cuori dei suoi fedeli lo spirito di questo nostro grande santo. Il mio augurio è che la diocesi reatina divenga dispensatrice di amore a Cristo e ai fratelli, nella gioia e nella pace».
Grazie di cuore, carissimo (e ora “eminentissimo”) Padre!