Mons. Pompili: fuggire il possesso se si impadronisce del nostro cuore

XXVIII domenica per annum. (Sap 7, 7-11; Eb 4, 12-13; Mc 10, 17-30)

“Mentre Gesù andava per la strada, un tale gli corse incontro”. Sarà forse per questo slancio che si è sempre pensato ad un giovane, anche se il testo di Marco non autorizza a precisare l’età. Sta di fatto che questa velocità dell’avvio contrasta con l’epilogo dell’incontro, dove si annota: “E se ne andò rattristato”. Cosa è successo per spegnere l’entusiasmo e consegnare l’anonimo personaggio alla sua sconsolata solitudine?

Di mezzo c’è una richiesta che sa di calcolo: “Maestro buono, che cosa devo fare per avere la vita eterna?”. E già si intuisce chi è colui che sta dietro l’insolita domanda: ineccepibile certo dal momento che osserva tutti i comandamenti, ma arido. Non fa nulla che non sia per ottenere qualche altra cosa. Ciò nonostante “Gesù, fissatolo lo amò”. Se potessimo alla moviola bloccare quest’attimo, ci si accorgerebbe che il Maestro sta introducendo un altro punto di vista. Non è importante contare, calcolare, contabilizzare. Bisogna saper guardare e soprattutto seguirlo. “Vieni e seguimi!”, gli dice. Ma lui non si muove. Resta immobile. E’ bloccato. E alla fine “se ne va triste” perché capisce che non sta facendo quello che sente nel profondo, perchè “possedeva molti beni”.

Già le cose ci bloccano, ci appesantiscono, ci immobilizzano! Che strano. Sembra il contrario. Più si ha più si è liberi. Più si accumula più si diventa. Ma, a ben guardare, le cose si impadroniscono del nostro cuore. Prima che della nostra libertà. E accade che viene meno perfino la voglia di vivere. Non è forse la noia e una certa accidia, che è una forma raffinata di stanchezza, a prevalere oggi? Allora si comprendono le parole di Gesù: “E’ più facile che un cammello passi per la cruna di un ago che un ricco entri nel Regno di Dio”. Per quanti tentativi di accomodamento siano stati escogitati, non si sfugge alla logica serrata del ragionamento di Gesù. L’avere e basta impedisce di arrivare a Dio, cioè di sentire la vita. Bisogna sottrarsi alla presa del possedere se si vuol respirare a pieni polmoni. Diversamente si assegna la fiducia a quello che si ha e si finisce per diventarne schiavi.

Don Minozzi, nato a Petra in una famiglia numerosa era povero di cose, ma si rivelò subito ricco di una straordinaria energia. Colpisce il suo volto e la sua fronte spaziosa, per quanto incorniciata da capelli fluenti e ribelli. E si capisce che a differenza del personaggio del Vangelo lui non se ne è andato triste perché ha lasciato sin da ragazzo il piccolo paese e si è messo dietro al Maestro. E così la sua vita ha acquistato ritmo, consistenza, valore.

Una prova fra tutte, considerato il centenario della I guerra mondiale che lo vide protagonista tra i cappellani militari. Fu un conflitto totale, di logoramento, grande distruttore di uomini, ma anche grande suscitatore di energie, così diverso dal mito glorioso della guerra risorgimentale vissuto dai padri. Don Minozzi fu il protagonista delle ‘case del soldato al fronte’, sia prima che dopo Caporetto. Fu l’unico spazio di umanità dentro uno scenario tragico nel quale erano costretti giovani per lo più incolti provenienti dalle zone più depresse del neonato Stato nazionale. Le ‘bibliotechine’, una serie di improvvisate capanne, divennero l’occasione per un momento disteso nell’attesa della morte certa e costituirono l’unico modo per incoraggiare e motivare le truppe esauste e depresse dall’assurdo della guerra. Don Minozzi si rese subito conto, ancor prima che si passasse dal maggio radioso della dichiarazione di guerra al funereo autunno del 1915, che i soldati non avrebbero retto ai rigori invernali e si mobilitò per sostenerli: con la preghiera, con lo sbrigare la posta, con il sostenerli psicologicamente, con l’alimentare un minimo di interesse culturale in ambienti analfabeti. Fu l’unica iniziativa in tutto il tragico conflitto bellico che andasse verso una qualche umanizzazione del conflitto.

La preghiera del giovane Salomone, di cui ci parla la prima pagina, si chiude con a sorpresa: “Insieme a lei (la sapienza) mi sono venuti tutti i beni; nelle sue mani è una ricchezza incalcolabile”. Anche per don Minozzi si è realizzata questa promessa. Dopo di lui tanti e tanti hanno beneficiato della sua sapienza. E altri ancora ne beneficeranno. Si realizza così la parola del Vangelo : “Non c’è nessuno che abbia lasciato casa o fratelli o sorella o madre o padre o figli o campi per causa mia e per causa del vangelo, che non riceva già ora, in questo tempo, cento volte tanto…”.