L’abbraccio di Vazia per il seminarista Marcello: «È come se ci conoscessimo da una vita»

«Quando il vescovo mi disse: Quest’anno ti cambio parrocchia, ti mando a Vazia, non pensavo di trovare una famiglia così bella, che mi ha accolto come se ci conoscessimo da una vita». È il ringraziamento commosso di Marcello Imparato alla comunità reatina alle pendici del Terminillo, nel dare avvio al ricco rinfresco con cui i parrocchiani, e tutti gli intervenuti al rito, hanno festeggiato la sua ammissione agli ordini sacri.

Bellissima la torta che ha concluso il lauto buffet: faceva il paio con l’altra “gemella” che le abili mani di Cristina – educatrice di Ac che nella sua arte pasticcera per hobby non ha nulla da invidiare a un professionista – aveva preparato per l’occasione: un dolce con i simboli dello Spirito Santo come augurio a Marcello, un altro con il numero 15, gli anni della chiesa parrocchiale della quale in questi giorni si celebrava l’anniversario della dedicazione.

Nell’edificio sacro – inaugurato nel 2004 nell’area artigianale di Vazia come complesso centrale del territorio parrocchiale dislocato tra Madonna del Passo, Lugnano, Lisciano e Castelfranco – si sono raccolti in tanti, domenica pomeriggio, per la Messa solenne durante la quale Marcello, l’unico seminarista attualmente in forza alla diocesi reatina, ha dichiarato ufficialmente il proprio impegno a camminare verso il diaconato e il sacerdozio.

Un rito che, pur nella sua semplicità, per i candidati al sacramento dell’Ordine segna un passaggio importante e che Imparato, vocazione adulta giunta in dono alla Chiesa reatina dalla sua nativa terra campana, ha tenuto a svolgere nella comunità della parrocchia ai piedi del Terminillo. Qui, da alcuni mesi, svolge il servizio pastorale ogni fine settimana, un impegno che il seminarista porta avanti insieme a quello di cerimoniere vescovile nelle celebrazioni diocesane, quando torna a Rieti da Assisi.

È infatti nel glorioso “Pio XI” che Marcello si trova a studiare, e alla liturgia era presente anche una rappresentanza del Pontificio seminario regionale umbro, che in passato ha visto gran parte del clero reatino formarsi nelle sue fila. Accadeva quando la diocesi reatina era legata alla Conferenza episcopale umbra, ma da qualche tempo il seminario di Assisi è tornato ad accogliere le vocazioni nate nella Valle Santa, una terra che con la patria di san Francesco ha un legame particolare. Oltre ad alcuni seminaristi, era presente a Vazia il vice rettore, il ternano Gian Luca Bianchi, che ha concelebrato l’eucaristia domenicale con diversi sacerdoti e il vescovo emerito di Viterbo, il reatino Lorenzo Chiarinelli. Presente alla liturgia anche il vescovo emerito Delio Lucarelli.

A esprimere, all’inizio del pomeriggio di festa, la gioia riconoscente della comunità per questo evento, il momento musicale e coreutico svolto in chiesa subito prima della Messa. Il coro parrocchiale diretto da Francesca Chiaretti, con le voci soliste del soprano Vanessa Caloisi e del tenore Giuliano Aguzzi, ha eseguito un sublime Magnificat – nella versione che il compositore Marco Frisina, sacerdote romano, aveva originariamente fatto interpretare alla splendida voce di Mina – accompagnando i movimenti delle bambine della scuola di danza “Con le ali ai piedi”, che si appoggia alla parrocchia.

Un’ouverture gioiosa alla celebrazione liturgica, nel quale era inserito il rito di ammissione di Marcello: una vocazione adulta, “intercettata” – ha ricordato il vescovo Domenico nell’omelia – grazie anche a don Felice Battistini (pure lui era presente fra i concelebranti) mentre questo farmacista “emigrato” da Sessa Aurunca nel Cicolano si trovava in quel di Petrella Salto per lavorare nella locale farmacia. Da farmacista, la scelta di entrare in seminario, per questa diocesi in cui le vie misteriose di Dio lo avevano condotto. Una vocazione al sacerdozio maturata dunque non proprio da giovanissimo, anche se, ha rivelato monsignor Pompili, nella lettera indirizzatagli per chiedere l’ammissione all’ordine sacro, Marcello dichiarava di essersi sentito sin dalla prima infanzia «una creatura amata da Dio». Quel Dio che chiama sin dal grembo materno, secondo la bella espressione della vocazione di Geremia che risuonava nella prima lettura della liturgia domenicale. «Questa è la vocazione: avvertire di essere stati chiamati, ha sottolineato monsignore. «La fede ci fa sentire non “gettati” in questa vita, ma “pensati» da Dio».

Un destino, quello del profeta Geremia, che «è anche quello di Gesù», ha proseguito il vescovo riferendosi al brano evangelico in cui Luca narra la diffidenza degli abitanti di Nazaret verso il figlio del carpentiere. Il riferimento è al finale dell’episodio, quando Gesù, dopo aver rischiato brutto dai nazareni, «passando in mezzo a loro si mise in cammino». Ci fa capire, ha detto don Domenico, come «Gesù riprende il suo cammino senza cedere alla pressione dei suoi compaesani. Così facendo non smette di amarli ma li invita ad andare oltre se stessi. E ci svela in che consista la vocazione all’amore». Un tema che si lega allo straordinario “inno alla carità” proclamato nella seconda lettura della domenica, san Paolo: «ci offre l’identikit dell’amore adulto e dunque dell’amore del presbitero – ha precisato il vescovo – perché il presbitero è un adulto, anzi è un “anziano”». Deve dunque sapersi accreditare grazie a un amore “adulto” perché «non si vanta e non si gonfia»; l’amore «di chi è un uomo, perché per essere prete bisogna essere uomo, capace di stare con gli altri».

E c’è una seconda caratteristica dell’amore: «non cerca il suo interesse». Chi ama sul serio, con amore adulto, «non si limita ad accontentare, ad ottenere il facile consenso degli altri, ma sa accettare la sfida esigente di chiedere all’altro qualcosa di ulteriore, di dire anche di no»: differentemente da quel che avviene in politica, in cui non si sa dire di no, o tra genitori e figli, con «l’abitudine di negoziare tutto», ha commentato il vescovo. Così è l’amore del presbitero: «deve essere capace di dire dei no, che sono dolorosi ma sono capaci di far crescere l’altro».

Infine l’amore adulto, stando sempre a san Paolo, è quello di chi «non gode dell’ingiustizia, ma si compiace della verità». E Pompili ribadisce l’importanza di «dire le cose come stanno, dire la verità». L’amore che si compiace della giustizia ci fa capire che «l’amore del presbitero deve essere capace di lottare, non di accettare le cose per quello che sono: e per questo l’amore maturo richiede una grande dedizione, che non deve mai stancarsi, mai perdersi d’impegno».

Prima dell’offertorio, un gesto che esprime l’omaggio dei parrocchiani al neo “ammesso”: il dono di un camice, portato da una coppia di catechisti che lo fanno indossare al chierico Marcello.

Per Marcello, ha concluso il vescovo, l’augurio che nel suo percorso sappia conservare «una cosa oggi necessaria: l’entusiasmo. Una cosa che nasce dall’essere in Dio. Questo è ciò che ti consentirà di andare avanti e di sperimentare che quanto più ti donerai in questo tuo servizio tanto più ti sentirai ringiovanito. Che tu possa, come Gesù, passare in mezzo a loro per riprendere di nuovo il cammino».