Il vicario monsignor Aquilini: «fare comunità con la forza dello Spirito»

Don Luigi Aquilini non ha mai perso il sorriso e la fiducia nel futuro, anche nei momenti più bui, anche ora che non è più un giovane prete.

Gli occhi chiari e vispi di questo ottantaseienne minuto ed energico si illuminano in un sorriso aperto, sempte condito da una verve scherzosa e ironica che lo accompagnato nel corso di un’esistenza gioiosa, quasi tutta trascorsa tra le sue amate montagne amatriciane.

«Uno scalatore di vette» lo ha definito il vescovo Pompili, nominandolo suo pro-vicario, «un sacerdote simbolo di una ferita che va rimarginata». Sul viso di don Luigi il sorriso si spegne solo ricordando quella ferita, la fuga disperata quel 24 agosto 2016, correndo in pigiama al buio tra i detriti mentre tutti lo chiamavano, lo supplicavano di salvare i propri bambini, «…ma non ho potuto fare nulla per loro».

Una lacrima di cui si scusa, quasi si vergogna, consapevole di essere uscito indenne da una notte foriera di morte per tante persone, tanti piccoli, tanti ragazzi: i suoi ragazzi. «Famiglie devastate che oggi più di prima hanno bisogno di essere sorrette, di ricevere un aiuto psicologico, ma soprattutto hanno bisogno di essere unite tra loro per affrontare le difficoltà.

Una tragedia che ha fatto affiorare anche gli aspetti peggiori, come l’invidia o l’avarizia, è per questo che raccomando sempre di affrontare gli ostacoli con nuova fiducia, ma soprattutto tutti insieme». Il desiderio di fare comunità con la forza dello spirito di aggregazione ha accompagnato tutta la vita di questo prete di montagna, impegnato nelle problematiche sociali, propenso a favorire incontri sportivi e culturali, e desideroso di offrire ai giovani la possibilità di migliorarsi, anche viaggiando, «perché solo conoscendo altre culture ci si può aprire al mondo e conoscere meglio la propria».

Una passione per lo studio che lo portò perfino a terminare il percorso seminaristico in anticipo, a soli ventidue anni a fronte dei venticinque previsti. Don Luigi ricorda la grande festa per la sua ordinazione ad Amatrice, nel 1955: «per pura casualità tenne l’omelia padre Giovanni Minozzi, il quale appena tornato dall’America era venuto in paese per visitare l’istituto che porta il suo nome».

Ma ci furono anche i giorni molto duri, come quelli del suo arrivo in seminario ad Ascoli Piceno, subito dopo la guerra: «il fronte passava a San Benedetto del Tronto, bombardavano. Eravamo spaventati, non avevamo mai assistito a nulla di simile. Il viaggio per Ascoli la facemmo su una macchina che trasportava derrate alimentari, aggrappandoci alle sponde: all’arrivo avevamo le ginocchia completamente sbucciate».

I genitori, Virginia e Sabatino, ci tennero ad accompagnare il giovane Luigi verso questa importante esperienza, e «tornarono a piedi ad Amatrice, non c’erano mezzi». Oggi, tra gli obiettivi che rientrano anche nel suo nuovo impegno di vicario del vescovo, c’è la necessità di rinsaldare una comunità distrutta sia materialmente che emotivamente.

«La solidarietà è stata davvero grande, dobbiamo ringraziare la generosità di quelle persone e rimboccarci le maniche tutti insieme», dice mostrando con orgoglio il suo cappello da alpino. Dietro gli occhiali, il suo sguardo vivace fa indovinare il guizzo della prossima vetta da scalare: l’organizzazione di nuovi eventi ed iniziative per ritrovare, con pazienza e tenacia, la gioia di stare insieme, e riscoprire pian piano qualche spiraglio di serenità nell’animo della sua gente.