Carità, preghiera e digiuno per sentire il profumo della Pasqua

Come indicare il senso del tempo di Quaresima? Come mostrare la bellezza di questi giorni, in cui tutto rallenta, a un mondo divorato dalla smania della velocità e dell’immediatezza? Volendo andare fino in fondo: ha senso l’invito al silenzio, al digiuno, alla preghiera, rivolto al mondo contemporaneo? Un mondo diviso, che pare appeso, sospeso fra il tutto e il nulla, che talvolta sembra confondere fra l’eccesso e la carenza, fra la vita e la morte.

La risposta è sì, se vuol dire prendersi il tempo di guardare alla propria vita, di fare ordine e pulizia dentro di noi, di cogliere le ragioni che ci allontanano dalla nostra umanità, che ci riempiono l’anima di rabbia e di rancore.

E in questo le Scritture aiutano, perché hanno la capacità di mostrare che in fondo l’uomo è sempre lo stesso e da sempre combatte contro gli stessi demoni. Lo ha lasciato intravedere il vescovo Domenico rivolgendosi ai fedeli riuniti in Cattedrale per il rito delle Ceneri. Ad esempio, cogliendo nell’invito a “lacerare il cuore e non le vesti” – che il profeta Gioele fa agli ebrei del suo tempo di fronte alla loro calcolata teatralità nei riguardi del Signore – un parallelo con quella «sovraesposizione dei corpi» che caratterizza la nostra epoca di autoscatti senza veli pubblicati sui social network. Anche se poi, a preoccupare maggiormente dovrebbe essere la pornografia on-line, «che allude alle forme dell’amore, ma ne perde l’incanto e tende a una visione “cosificata” del rapporto tra uomo e donna, nella quale, in nome di pretese e anche di performance, si perde l’esperienza della tenerezza e dell’incontro». Una deriva che insieme ad altre non andrebbe «presa sottogamba», ma richiederebbe una «inversione ad “U”», una conversione, un rovesciamento della direzione. Occorrerebbe cioè rivolgersi all’interiorità più che all’esteriorità, scegliendo di coltivare «ciò che è interno, nascosto, invisibile», perché «solitamente le cose decisive sono quelle che non si vedono». E tra queste c’è innanzitutto il cuore, che se non viene «riscaldato» rischia raffreddarsi, di non saper più scegliere la strada giusta.

Ma un rimedio a questo pericolo si trova proprio nei precetti della Quaresima, negli insegnamenti del Vangelo. Ecco allora il valore dell’elemosina, «che fa contenti quando riusciamo a condividere quello che abbiamo e non ad accumulare soltanto per se stessi, deforestando quello che sta intorno»; poi la preghiera, ovvero la «capacità di saper sprecare del tempo per concedersi nel silenzio all’ascolto con Dio»; e quindi il digiuno, «che elimina tutto ciò che è superfluo e ci fa più avvertiti del fatto che sono veramente poche le cose di cui abbiamo bisogno, e ci sottrae a quel baratto per cui spesso vendiamo la nostra libertà in nome di questo consumismo, che qualche volta ci appare perfino inelegante».

È per questa via della Quaresima che si inizia a sentire il «profumo» della Pasqua, «la primavera dello spirito». La bella stagione, ha notato il vescovo, si sente arrivare dal profumo diverso che si avverte nell’aria E non è un caso se il Cantico dei Cantici, quando deve dire chi è il Messia, «parla di Lui come di un profumo olezzante». Il profumo, infatti, «è qualcosa che non si vede e tuttavia si coglie nell’aria, identifica una persone e ha perfino un carattere democratico, perché una volta che spande la sua fragranza arriva ovunque ed è per tutti».

I cristiani sono quanti si lasciano guidare da questo profumo a vivere una vita diversa «perché ci fa fare il bene senza doverlo esibire; ci fa percepire Dio senza doverlo dimostrare; ci fa essere noi stessi mettendoci al riparo di quelle che sono le attese degli altri».

«È questo profumo – ha concluso don Domenico – che in questi quaranta giorni vogliamo cercare di cogliere, perché quello che gli occhi non vedono, quello che le orecchie non ascoltano, è possibile intuirlo attraverso questo olfatto spirituale. La Quaresima è questo e per questa ragione vogliamo incamminarci insieme alla ricerca di quello che dà alla nostra vita, nonostante le sue tante brutture, la possibilità di un profumo nuovo».