Vigilia di Pentecoste: «La comunicazione è sempre un miracolo»

(Gn 11, 1-9; Sl 33; Rom 8, 22-27; Gv 7,37-39)
31-05-2020

La si chiamò Babele, perché là il Signore confuse la lingua di tutta la terra”. Babele rappresenta l’impossibilità parlare la stessa lingua. A Babele i segnali si accavallano, si confondono, si elidono a vicenda. Perciò Babele è il simbolo degli appuntamenti mancati, dove gli equivoci si moltiplicano e la gente non si incontra. Al massimo ci si urta, ci si irrita a vicenda, e ognuno si lamenta di non essere capito. Non si pensi di esagerare. Anzitutto, accade dentro ciascuno di noi: esiste una fatica a vivere una comunicazione limpida tra pensiero e cuore, tra desideri e azioni. Accade nelle famiglie, dove si fatica a comunicare livello di rapporto di coppia e di rapporto genitori-figli. Accade nella società dove siamo rassegnati a una conflittualità permanente, oggi enfatizzata dai social, dove crescono gli ‘odiatori’ di professione. Accade nella Chiesa dove si fatica a comunicare tra preti e laici e dove la stessa evangelizzazione diventa un problema.

Il contrario di Babele è la Pentecoste, dove d’incanto ci si intende con scioltezza, si comprende anche chi è straniero e si stabilisce un contatto che fa sperimentare la gioia di comunicare con leggerezza. Si sperimenta quello che l‘Apostolo Paolo dice: “lo Spirito viene in aiuto alla nostra debolezza”. Come accade questo? È che non basta blaterare se non c’è un mondo interiore cui attingere. Non è necessaria la moltitudine di parole per comunicare davvero. Poche parole sincere nate da un distacco contemplativo valgono più di tante parole a fior di labbra. Ci vuole tempo per parlarsi. Noi spesso manchiamo per disattenzione, fretta, superficialità. Non bisogna spaventarsi dei momenti di ombra. Luci ed ombre fanno parte della comunicazione. Chi cerca solo luce e chiarezza tende a dominare l’altro e così a rifiutarlo. La trasparenza non è mai assoluta né si può pretenderla. Occorre pazienza senza mai dimenticare che nel mentre si parla si dice sempre qualcosa di sé

La comunicazione, dunque, è sempre un miracolo perché comunicare non è semplicemente “dire qualcosa a qualcuno”, ma coinvolgersi in prima persona e darsi oltre che dirsi. È quanto lascia intendere il Maestro: “Se qualcuno ha sete, venga a me, e beva chi crede in me”. Mai come in tempo di pandemia abbiamo riscoperto il valore delle parole che scaldano il cuore, che mobilitano le persone, che mettono in collegamento, superando l’individualismo che fa divisi e incapaci di sopravvivere. Invochiamo lo Spirito perché aiuti ad attraversare questo tempo ancora condizionato da tanti limiti, ma non privi di quella scintilla spirituale che ci aiuta ad andare oltre le mascherine diretto agli occhi delle persone perché si sappia stabilire una relazione che abbiamo scoperto essere il sale della vita, il sugo della storia umana.