VI Domenica di Pasqua: «Non è la prossimità fisica, ma la vicinanza affettiva quella che ci riempie»

(At 8, 5-8.14-17; 1 Pt 3, 15-18; Gv 14, 15-21)
17-05-2020

«Non vi lascerò orfani», promette Gesù ai suoi mentre sta per congedarsi per sempre. È interessante che il Maestro non si lecca le ferite, né inveisce contro quelli che l’hanno rifiutato o travisato. Una cosa sola gli sta a cuore: garantire una compagnia a chi si sarà privato della sua presenza. L’orfanezza o la solitudine è, peraltro, una condizione inevitabile nella vita di ogni uomo. C’è una solitudine positiva che è “abitare con se stessi”, ma fa male sentirsi privo di un amore, di una amicizia, di una casa. La cosa più tragica di questo tempo di pandemia è stata la solitudine da Covid – 19 e perfino la morte. Il problema è che tutti, più o meno, presto o tardi, sperimentiamo questo stato di orfano, così umano e così inevitabile.

Gesù lo sa bene e non si accontenta di parole, di una pacca sulle spalle, di un generico incoraggiamento. Dice ai suoi: «e io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paraclito, perché rimanga con voi per sempre, lo Spirito della verità, che il mondo non può ricevere perché non lo vede e non lo conosce». Promette un Paraclito, cioè un (ad vocatus) avvocato, uno ‘chiamato per stare accanto’. Ma aggiunge che il mondo, cioè il nostro istinto naturale, tenderà a rifiutarlo perché non lo vede e perciò non lo conosce. C’è una lucida consapevolezza in Gesù: sa che promette quanto di meglio, cioè una presenza che sta accanto e non farà mai sentire abbandonato. Però presagisce che non tutti se ne accorgeranno perché il mondo segue solo ciò che è visibile e appariscente. Mentre lo Spirito per definizione è nascosto e impercettibile. Questo che sembra un limite è però la sua forza: ciò che non è materiale è quello che ci segue sempre ed abita con noi. Non è la prossimità fisica, ma la vicinanza affettiva quella che ci riempie. Si può abitare sotto lo stesso tetto ed essere dei perfetti sconosciuti. Si può vivere a distanza e sentirsi l’uno accanto all’altro. Lo Spirito poi rende le parole di Gesù contemporanee, come questa: «Se mi amate osserverete i miei comandamenti». Alle nostre orecchie post-moderne l’osservanza cozza con la libertà. Ma c’è un’equazione infallibile: se si ama qualcuno lo si dimostra nei fatti. E il fatto che ci è chiesto è semplice: «soffrire operando il bene (piuttosto) che facendo il male». Questa è maniera di rendere ragione con mansuetudine e rispetto della fede.

La presenza di Cristo conduce a vivere in mondo alternativo: scegliendo il bene e non il male. Allora anche le situazioni più negative possono essere convertite in qualcosa di diverso, senza farci diventare rassegnati o melanconici. «Io vivo e voi vivrete», dice Gesù. Questa è la speranza che è già dentro di noi e fa attraversare le frontiere della paura, del peccato, della morte e delle discriminazione tra gli uomini. «Voi vivrete».