Un Natale con molte sorprese

Intervento in occasione dell'incontro del terzo giovedì con i prebiteri e i diaconi
17-12-2020

«Perché san Francesco per rappresentare la nascita di Cristo chiese soltanto un po’ di fieno e un bue e un asino vivi, animali nominati unicamente dal vangeli apocrifi, quelli che la Chiesa non ritiene scritti dagli evangelisti? Quale era il loro significato? Che rapporto c’era per il santo tra la crociata e la notte di Natale a Greccio?». Le domande di Chiara Frugoni ci introducono nel senso recondito del Natale, se è vero come si legge nella Admirabile Signum. Lettera Apostolica sul significato e il valore del presepe (n. 3) che: «San Francesco, con la semplicità di quel gesto, realizzò una grande opera di evangelizzazione. Il suo insegnamento è penetrato nel cuore dei cristiani e permane fino ai nostri giorni come una genuina forma per riproporre la bellezza della nostra fede con semplicità. D’altronde, il luogo stesso dove si realizzò il primo presepe esprime e suscita questi sentimenti. Greccio diventa un rifugio per l’anima che si nasconde sulla roccia per lasciarsi avvolgere nel silenzio». Vorrei ritrovare con voi, tre elementi che si ricavano da papa Francesco: l’evangelizzazione; la bellezza e Greccio.

L’evangelizzazione

Questo è il nostro unico compito. E non c’è bisogno di aggiungere alcun aggettivo. La nostra missione è trasformare il fieno e la paglia dell’umanità nel pane fragrante dell’Eucaristia e della condivisione (Cfr. Omnes fratres). Come si realizza questa ‘transustanziazione”? L’asino e il bue sono i simboli da decifrare. L’esegesi verte naturalmente sul versetto di Isaia (1,3): «Il bue conosce il suo proprietario e l’asino la greppia del padrone, ma Israele non conosce e il mio popolo non comprende”. S. Agostino commenterà: «Il bue rappresenta gli ebrei, l’asino i pagani: entrambi vennero ad un’unica mangiatoia e trovarono il cibo del Verbo». Evangelizzare vuol dire ricondurre il cuore delle persone a Dio, sapendo che ci sono quelli come gli ebrei “credono di credere” e quelli – come i pagani – che “credono di non credere”. I primi vanno aiutati a mettere in crisi le proprie certezze religiose, lasciandosi convertire dalla rivelazione di Gesù di Nazareth. I secondi devono accorgersi che sono idolatri che hanno sostituito il sacro con il profano. Entrambi vanno accompagnati sui sentieri della storia, condividendo il buio e le incertezze del tempo presente, lasciando che emerga la luce della fede.

Bellezza

Il presepe cattura l’attenzione di chiunque, piccoli e grandi. E suscita emozione perché fa leva su quello che è inscritto nel cuore umano e cioè l’incantesimo della nascita, dell’innocenza, della semplicità. C’è dentro queste sensazioni che producono l’incanto della bellezza una sorta di “ricatto emotivo” che risveglia la capacità fondamentale dell’uomo che è ‘capace di Dio’. Di fronte allo smarrimento del bello, la Laudato sì di papa Francesco, ripropone  l’inseparabilità tra etica ed estetica. Non a caso, egli cita il testo della Genesi dove per ben sei volte risuona la frase: «Dio vide che era cosa bella/buona». Per l’uomo e la donna il testo aggiunge: «Dio vide che era cosa molto bella/buona». Questa particolare esperienza ci guida alla contemplazione della “casa comune”, volendo suscitare non tanto la paura della fine, quanto l’amore per il mondo creato. «Ogni creatura è oggetto della tenerezza del Padre, che le assegna un posto nel mondo. Perfino l’effimera vita dell’essere più insignificante è oggetto del suo amore, e in quei pochi secondi di esistenza, Egli lo circonda con il suo affetto. Diceva san Basilio Magno che il Creatore è anche “la bontà senza calcolo” e Dante Alighieri parlava de «l’amor che move il sole e l’altre  stelle”. Perciò, dalle opere create, si ascende fino alla sua amorosa misericordia» (LS 77).

<h3Greccio</h3>

È un piccolo borgo, il cui significato trascende la sua insignificanza. Quando vi giunge il Poverello sul finire della sua vita trova che la greppia spegne definitivamente il bisogno del cammino verso la Terrasanta e la sua difesa. Non c’è bisogno di attraversare il mare per vibrare d’emozione, né di imporre la fede, ritenuta la vera, con la violenza e con le battaglie. Betlemme è ovunque, anche a Greccio, perché deve essere prima di tutto nei cuori. «Quasi nova Bethlehem de Graecio facta est». Greccio diventa così una nuova Betlemme attraverso le parole trascinanti di Francesco. Anche le nostre piccole realtà parrocchiali, funestate dal Covid, possono tornare ad essere un luogo di incontro con Dio e tra di noi, se le nostre parole – ancor prima le nostre azioni – saranno essere incantate e concentrate sul mistero centrale della fede cristiana che è l’incarnazione. Greccio dice anche la cifra minore dei nostri territori che non possono essere abbandonati a se stessi, ma trovano nelle parrocchie luoghi di resistenza al degrado umano e allo sfilacciamento dei rapporti umani.

L’augurio si fa ora preghiera con le parole di un credente dei nostri giorni:

Chi, alla mangiatoia, depone finalmente ogni violenza, ogni onore, ogni reputazione, ogni vanità, ogni superbia, ogni ostinazione,
chi sta dalla parte degli umili e lascia Dio solo essere grande, chi, nel bambino nella mangiatoia vede la magnificenza di Dio proprio nell’umiliazione,
costui festeggerà l’autentico Natale

(D. Bonhoeffer).