Traccia dell’intervento del vescovo Domenico all’Incontro con gli operatori pastorali

Contigliano, 17 febbraio 2018
17-02-2018

1. Lo stato dell’arte… pastorale

Una questione di fondo per cominciare: “opzione Benedetto” o “opzione Francesco”, cioè ritirata o diaspora?
Benedetto è san Benedetto da Norcia che alla caduta dell’Impero Romano mette in salvo l’eredità cristiana puntando su uomini forti che si ritirano nell’ascolto e irradiano il mondo della loro esperienza: ‘ora et labora’. Addirittura – come scrive A. McIntyre nel suo “After Virtue” – il modello economico benedettino è vincente perché non fa del profitto la sua ragion d’essere. Scrive Drehrer: “Potrebbe essere che il modo migliore per fermare la marea è… non fermare la marea? Cioè, smettere di disporre di sacchi di sabbia e costruire invece un’arca dove ripararci fino a che le acque non si saranno ritirate e potremo mettere i piedi di nuovo sulla terra asciutta’”.
Francesco è S. Francesco che all’inizio del primo Millennio sceglie la condivisione dei luoghi dell’uomo per vivere da cristiano, annunciando il Vangelo, “se necessario anche con le parole”. Vive accanto alle casette del tempo e si fa povero tra i poveri. Francesco da Rieti è l’originale di questa scelta che è stato ‘normalizzato’ dalla figura di Francesco D’Assisi, quando Bonaventura brucia tutte le biografie ed impone la sua, quella dell’alter Christus, che è destinata ad imporsi per sempre. Nel quadrilatero di Fontecolombo, Greccio, Poggio Bustone e la Foresta ci è dato di ritrovare le dimensioni di un insediamento religioso che è piccolo, dove il chiostro è quasi in miniatura perché per Francesco “il chiostro è il mondo”.
E oggi? Non si tratta di scegliere tra i due grandi santi, ma di integrare le due prospettive salvaguardando identità e missione. Per noi che siamo custodi dell’itinerario della Valle santa e siamo attraversati dalla via Sancti Benedicti (l’Abbazia di S. Maria Maggiore di Concerviano) non è possibile scegliere l’una o l’altra opzione. Si tratta di garantire ad un tempo l’identità dell’operatore pastorale e insieme di salvaguardare la sua forma missionaria. L’operatore pastorale sa chi è e che cosa deve fare, ma non si pensa per un gruppo ristretto, ma vive ed interagisce con la società di oggi. E intende col suo impegno aiutare a far lievitare il Vangelo dentro le nostre piccole comunità. Non è un ‘don Chisciotte’ solitario contro i mulini a vento, ma uno che si sente parte di una chiesa che lo accoglie e che grazie a lui si fa ancor più accogliente.

2. “Le otto montagne” dell’operatore pastorale

Paolo Cognetti, vincitore del Premio Strega con il suo “Le otto montagne” era ad Amatrice giusto una settimana fa. Ed ha raccontato della sua famiglia: il papà, un chimico ombroso ed affascinante che vive a Milano e sogna l’aria fresca dei monti, e la mamma, una consulente familiare che ammira la natura e si lascia interrogare dalle storie delle persone che incontra. I genitori sono uniti dalla passione per la montagna, pur così diversi per sensibilità e non a caso si sono sposati ai piedi delle tre cime di Lavaredo. Pietro un giorno si sente provocare dal papà che gli chiede: “Guarda quel torrente, lo vedi? Facciamo finta che l’acqua sia il tempo che scorre. Se qui dove siamo noi è il presente, da quale parte pensi che sia il futuro? (…) Diedi la risposta più ovvia: – Il futuro è dove va l’acqua, giù per di là. – Sbagliato – decretò mio padre”. Poi Pietro farà amicizia con Bruno, un ragazzino di Grana che pascola le vacche, e con lui si attarderà estasiato davanti ad un torrente e finalmente capirà perché aveva sbagliato. “Se il punto in cui ti immergi in un fiume è il presente, pensai, allora il passato è l’acqua che ti ha superato, quella che va verso il basso e dove non c’è più niente per te, mentre il futuro è l’acqua che scende dall’alto, portando pericoli e sorprese. Il passato è a valle, il futuro a monte. Ecco come avrei dovuto rispondere a mio padre. Qualunque cosa sia il destino, abita nelle montagne che abbiamo sopra la testa”. La montagna non è solo neve e dirupi, creste, torrenti, laghi, pascoli. La montagna è un modo di vivere la vita. E per Pietro, ragazzino cresciuto in città diventa pure la cosa più simile a un’educazione che abbia ricevuto dal papà, con cui condivide le tante scalate sui monti. Un passo davanti all’altro, silenzio, tempo e misura. Cosa c’è di più vicino all’esperienza della chiesa: un cammino insieme, passo dopo passo, fatto di silenzio, tempo e misura?
Siamo in montagna, molti dei nostri centri sono incorniciati da vette e dirupi. Proviamo a rileggere questa condizione ambientale in modo creativo e non come un destino. La montagna è una scuola di vita e ci aiuta a ritrovare l’identità e la missione del nostro servizio pastorale che è una scalata che ci porta in alto e ci fa ritrovare il gusto delle cose che costano, ma danno gioia. Come quando si arriva finalmente in vetta e non si hanno più parole, ma una strana gioia per il traguardo raggiunto. Le montagne sono otto anche per l’operatore pastorale. Le prime tre descrivono più lo spazio, le altre cinque piuttosto il tempo… delle relazioni.

a. La chiesa locale

Siamo nella Chiesa di Rieti. Secoli di storia alle spalle e oggi una comunità dispersa e spopolata. Questa è la nostra realtà di cui essere grati per quello che abbiamo ricevuto da questa esperienza cristiana secolare. Far parte della Chiesa locale è un modo per non restare sospesi in aria. Oggi manca questo radicamento in un territorio concreto e si tende a vivere a mezz’aria, col rischio di essere sospesi nel vuoto. Al contrario, la fede cristiana vive di un suo radicamento necessario ad una terra, ad una storia, a volti. Avverto di essere dentro questa compagine? Non c’è che una chiesa che non ha a che fare con il mio piccolo punto di vista, ma con questa dimensione storicamente collocata e geograficamente situata. Ritrovare la chiesa locale vuol dire sentire che non siamo mai soli perché apparteniamo ad una comunità più ampia, di cui condividere gioie e dolori. Se ci si rinchiude dentro il proprio piccolo vissuto si finisce per essere risucchiati dal particolare e si perde il senso dell’insieme che ha sempre un carattere popolare e non elitario.

b. La zona pastorale

L’ampiezza richiede che si faccia abitualmente comunione con le realtà più contigue. Guardando anche stavolta al nostro territorio sono state individuate 5 zone pastorali che sono tali perché omogenee dal punto di vista socio-culturale. Piccoli Comuni del Turano, quelli del Cicolano, quelli del Montepiano reatino, quelli dell’Amatriciano e del Leonessano e, infine, la città di Rieti. Non si fatica a capire, a maggior ragione dopo il terremoto, che muoversi in sinergia sia l’unica strada per garantire a tutti una presenza cristiana. Ad esempio, la lectio che in Quaresima faranno le comunità religiose femminili e maschili sono un modo per stare dentro ad una zona con una proposta che metta insieme e non divida. La zona pastorale è anche forse la strada per qualche iniziativa con un minimo di presenze: catechesi, giovani, coppie di sposi, famiglie. Lo stare insieme vale per i preti, le suore, i laici.

c. La parrocchia

E siamo a livello della nostra dimensione abituale. Anche qui non è scontata questa scelta. Oggi siamo portati a scegliere la parrocchia in base a criteri molto emotivi (il prete simpatico, il coro che tira, l’attività caritas che attira…), ma in ogni casa è questa la comunità che diventa la mia casa, la mia famiglia, il focolare che non conosce assenze. La parrocchia storicamente è stato il modo concreto con cui garantire a tutti una vicinanza dei sacramenti e della fede, uscendo dalle città e riversandosi in mezzo ai pagani. Oggi la parrocchia resta un elemento-chiave per proporre il Vangelo, a condizione che superi il suo isolamento e si apra a tutti e a tutto.

d. Gli altri operatori pastorali

Spesso si lavora per compartimenti stagni, quando non addirittura per contrapposizione. E così accade che i catechisti non sappiano nulla di quelli della Caritas e il coro sia una realtà a se stante. Bisogna ritrovare la strada di una comunione di intenti che fa ritrovare dentro la stessa proposta, pur con compiti diversi. Abbandonare personalismi e isterismi è la via per dare al piccolo gruppo degli operatori il compito di garantire alcuni servizi per tutti senza che nessuno si senta di troppo. Certo si richiede tempo e dedizione che non si improvvisano, ma sapere che la chiesa è se stessa quando annuncia, prega e vive è condizione indispensabile per evitare riduzioni che depotenziano la missione ecclesiale. Una comunità tutta preghiera e niente carità è monca, ma anche una parrocchia solo celebrazioni senza attività caritative è sterile. Per non dire che una parrocchia dove non si annuncia Gesù Cristo è solo una ONG, ma anche un gruppo solo praticone è semplicemente un diversivo e non una esperienza spirituale.

e. La scuola, lo sport, la musica…

Qui la montagna da scalare è il pregiudizio che l’operatore pastorale debba farsi carico solo di quelli che vengono e prestare loro un servizio ineccepibile. Ma una parrocchia trova se stessa solo fuori se stessa, cioè intercettando gli ambienti vitali dove incontrare le persone. Diversamente rischia di essere solo un’abbazia benedettina isolata dal resto che non attrae e di tanto in tanto viene visitata da qualcuno per i più svariati motivi. Occorre spingersi oltre le nostre strutture e cercare dove la gente vive, anche perché è in questi ambienti che si possono trovare elementi di innesto con il Vangelo.
La scuola: nonostante gli schiaffoni ai prof. resta l’ambito in cui tutti i ragazzi passano gli anni decisivi. Cercare un contatto con gli insegnanti e mettersi al fianco della sua difficile opera educativa è una esigenza non trascurabile. Naturalmente bisogna rispettare la forma della scuola senza alcun tentativo di indottrinamento sotterraneo. Però il dialogo con essa è necessario e benefico in tutte e due le direzioni.
Lo sport: questa realtà è diventata una delle alternative al catechismo. Ma la dimensione fisica è oggi diventata una emergenza per ragazzi sempre più obesi e statici. Del resto, in passato ogni parrocchia ha fatto del calcio un mezzo di socializzazione e di conoscenza. Possiamo pensare di saltare questo momento? L’ANSPI e altre realtà sono proposte per tutti e il nuovo corso per animatori conferma che c’è una domanda sotto traccia. Se si vuol riprendere il dialogo con le giovani generazioni non si può fa finta di niente. Sapendo che questa è una possibilità anche per le realtà più piccole.
La musica: “ciò che non si può dire e ciò che non si può tacere, la musica lo esprime” (V. Hugo, I canti del crepuscolo). La dimensione artistica è una strada sempre privilegiata dalla chiesa. Che tra l’altro facilita il protagonismo di tanti. Ma siamo ancora fruitori delle canzonette di Sanremo, senza coglierne il valore di racconto per tanti e senza sapere che impatto hanno nell’elaborazione di sentimenti, emozioni, esperienze. Pop theology è per qualcuno una necessità, ma di sicuro riprendere il cantiere della musica è un’attenzione da rivalutare.

f. Le famiglie

Ma quali famiglie verrebbe da dire? Non è velleitario pensare a questa realtà considerato che ormai perfino le mamme scaricano i figli e vanno dal parrucchiere per tornare a riprenderli? E tuttavia un operatore non può disattendere questa rete di affetti e di responsabilità che rimane un appiglio su cui costruire. E troverebbe sicuramente qualcuno disponibile con proposte adatte, con orari e linguaggi adeguati.

g. Il gruppo

Non ci si educa mai da soli, ma sempre nell’interazione con altri. Per questo la chiesa non è mai un cammino individualista, ma sempre una proposta aperta ad altri. Non solo, il gruppo diventa il clima che può tirare e aggregare e non le nostre proposte ad uno ad uno. Certo questa dinamica è esigente, ma la tenuta del gruppo dei ragazzi del catechismo piuttosto che di quelli della Caritas è essenziale.

h. La comunicazione cartacea e digitale

Un operatore può trovare in Rete tanto materiale utile per la sua attività, per informarsi e per formarsi. Ma qui da noi c’è pure uno strumento cartaceo e digitale che si chiama “Frontiera” con una sua storia antica e recente. Oggi è anche un sito e una serie di news diffuse anche sui social. Perché non documentarsi di più? Perché non provare ad abbonarsi a Frontiera (6 mesi per 10 euro) e così sentire che c’è tutto un movimento di idee e di fatti che innervano la nostra chiesa e il nostro territorio?
Il passato è a valle, il futuro è a monte. Così Pietro finalmente comprende. Anche per l’operatore pastorale questa è l’intuizione da preservare. Se si sta a valle del “si è sempre fatto così” non si va da nessuna parte. Solo provando a scalare, una dopo l’altra, le otto montagne si apre davanti a noi qualcosa di inedito. Nel quale consiste l’identikit dell’operatore pastorale per noi qui e ora.