Te Deum

(Gal 4,4-5)
31-12-2020

«Quando venne la pienezza del tempo». Mentre il 2020 sta finalmente per finire, prima di volgere frettolosamente lo sguardo al nuovo, tentiamo per un momento di raccoglierne l’eredità. Per quanto strano possa sembrare l’eredità più preziosa – al di là delle trasformazioni sociali ed economiche, culturali e perfino spirituali – sono tutti quelli che non sono più in mezzo a noi. Quelli, cioè, che se ne sono andati via, spesso in solitudine, senza possibilità di un ultimo abbraccio e di un’ultima parola. Si tratta, peraltro, di quella generazione cui dobbiamo tutto: la prosperità, la pace, la fiducia. Sono genitori e nonni che con la loro forza, la loro fede semplice, hanno generato famiglie, lavoro e democrazia. Sono quelli che hanno trasformato le macerie della guerra per edificare qualcosa di nuovo e di duraturo. Soltanto nel Lazio parliamo di 3696 persone, molte delle quali ultrasettantacinquenni.

L’eredità da raccogliere non ha a che fare con denaro, né con patrimoni immobiliari, ma con la segreta ragione che ha animato la loro vita, riconducibile a questa persuasione: “La felicità più importante non è la nostra, ma quella dei figli”. Questa proiezione in avanti spiega meglio di qualsiasi analisi economica o sociale il boom economico di ieri. E, al contempo, denuncia pure la crisi di oggi. Perché il ruscello si è trasformato in uno stagno? Che cosa si è bloccato? Nei figli e nei nipoti di quei padri e di quelle madri, di quelle nonne e di quei nonni si è bloccata la capacità di trasmettere. La verità è che siamo affetti  – chi più chi meno  – da un virus che riduce ogni cosa all’attimo presente, privilegia come orizzonte temporale solo l’oggi, e soprattutto tende a “piangersi addosso” nel vittimismo. L’eredità da raccogliere, invece, è l’affezione dei nostri vecchi i quali conoscendo la vita come un passaggio breve mollano la presa, facendo strada agli altri, senza farsi strada.

A pensarci, l’eredità più importante del 2020, non è solo la memoria grata verso i nostri benefattori, ma anche la percezione che la vita scorre in avanti e non è mai separata dalla morte. Il che non toglie nulla allo scandalo del morire, ma rende avvertiti che vita e morte sono abbracciate insieme. E questo basta per scalzare il mito del benessere a tutti i costi, della stabilità senza repentini cambiamenti di scenario e ricorrenti crisi di sistema. Soprattutto, la vita e la morte insieme danno ad intendere che cosa sia l’avventura. Non  – come si vede in certa pubblicità – …un fuoristrada nuovo e fiammante, ma la vita con le sue curve, le sue incognite, le sue sorprese. Per fortuna, il Natale di Gesù ci ricorda che «gli uomini, anche se devono morire, non sono nati per morire, ma per ricominciare» (H. Arendt). È quanto vogliamo provare a fare nel 2021. Come hanno fatto i nostri genitori e i nostri nonni.