Te Deum

(Gal 4,4-5)
31-12-2021

«Quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna». In queste ultime tre parole – contenute nel passo più antico del Nuovo Testamento relativo alla nascita di Gesù – c’è il momento più alto della lettera ai Galati e il vertice della rivelazione cristiana. A tal proposito, «nato da donna» è una sintesi straordinaria per dire che Gesù nasce davvero uomo, fin dal suo concepimento e dal suo entrare nel mondo; egli presenta un’umanità come la nostra bisognosa di cure, di attenzioni, di tenerezza, di amore. Come scritto da K. Rahner: «Ora Lui pure è sulla nostra terra, dove non gode un’esistenza migliore della nostra, dove non gli fu assicurato alcun privilegio, ma ogni parte del nostro destino: fame, stanchezza, ostilità, angoscia di dover perire, e morte miseranda. La verità più inverosimile è questa: l’infinità di Dio è penetrata nell’angustia umana, la beatitudine ha assunto la tristezza mortale della terra, la vita ha accolto in sé la morte» (L’anno liturgico, Brescia, 1962, 15s.).

«Nato da donna», oltre a ribadire la condizione carnale e fragile dell’umanità di Gesù, aggiunge un altro elemento. Dio stesso ha bisogno di Maria che è l’unica che può rivolgersi al figlio con le parole del Padre: «Tu sei mio figlio, oggi ti ho generato» (Sal 2). Chi visita in questi giorni il salone papale con la serie di presepi di tutto il mondo, trova anche una bellissima opera in terracotta proveniente da Accumoli, Maria lactans, cioè la Madonna che allatta il Bambino. La cosa che colpisce è che il seno della madre quasi scompare, a beneficio del Piccolo che si impone per la sua bellezza e per la sua naturalezza. Senza parole si impara guardando quest’opera restaurata che come grazie alla donna nasce Cristo, così grazie alla Chiesa Gesù può nascere o ri-nascere nell’anima della gente. Ciò che conta è che la Chiesa non si metta davanti a Cristo, non lo nasconda, o peggio, lo elimini; ma come il seno che si lascia avvicinare sappia nutrire e far crescere i suoi figli e le sue figlie. Per questa ragione non ci serve una chiesa auto-referenziale, distante e ripiegata su di sé, ma si richiede una chiesa libera, gioiosa e disponibile. Stesso discorso può essere fatto per il territorio, che può diventare meno polveroso se non si chiude a riccio, non difende posizioni di rendita, ma si apre al nuovo e all’incontro con gli altri, provando ad essere più ospitale ed accogliente.

Al termine di un anno complicato e difficile, lasciamoci attrarre dallo sguardo di Maria. Quello evocato nel film “Marcellino pane e vino”, dove dei frati salvano un neonato e lo adottano. Dopo un sogno particolare il piccolo “fa amicizia” con la statua del Cristo crocifisso e un giorno gli chiede di poter conoscere sua madre. «A che pensi Marcellino? Dove sarà la mamma tua adesso? Con la tua! Come sono le mamme? Che fanno? Danno, sempre danno. E che danno? Tutto: sé stesse, la vita e la luce degli occhi ai figli, finché diventano vecchie e curve. Anche brutte? Brutte no, Marcellino, le mamme non diventano mai brutte. Devo andare via, mi chiamano… Tu vuoi molto bene alla tua mamma? Con tutto il cuore. Io alla mia di più».