«Sulle tracce del Risorto» (1)

Lectio divina del vescovo con i giovani. Rieti, chiesa di Santa Chiara (Gv 20, 19-31)
01-04-2016

Premessa.

Questo incontro della lectio nel tempo di Pasqua nasce da un desiderio: ritrovare ciò che ci unisce, riconducendo i diversi percorsi personali a una misura comune che sia pure la base di una più profonda comunione. Così spontaneamente è nata in me quest’idea di ripartire insieme dalla Parola, facendone il punto di vista verso cui convergere.

Va detto però onestamente che quando si passa dal desiderio alla realtà anche la Parola di Dio è sottoposta al clima che si respira. L’incremento oggi delle conoscenze scientifiche e delle possibilità tecniche spingono l’uomo a sopravvalutare se stesso, abbandonandosi ad una attività sempre più frenetica. Il tempo a nostra disposizione non è aumentato. Dormiamo sempre meno, ci stanchiamo sempre di più. Di conseguenza l’uomo è sempre più agitato e le domande coraggiose sul senso della vita lasciano il posto alle domande sui programmi immediati. Che cosa si fa? Dove si va? La domanda coraggiosa è quella che spalanca l’uomo sui sorprendenti misteri del reale, mentre le domanda frettolosa sull’agire rinchiude dentro il fare convulso. Di qui una frenesia d’azione di ottenere tutto e a breve scadenza, una brama aggressiva verso i ritmi delle cose e delle relazioni (amore, amicizia,…). Si attua così quella fuga dalla libertà che si trasforma presto in delusione, stanchezza, disfattismo, quando inevitabilmente il risultati non arrivano. Guardando con attenzione al nostro rapporto con la Parola, quando c’è, dobbiamo riconoscere che siamo tutti lontani dall’averne assimilato la forza. Nella liturgia rischia di essere un passaggio troppo veloce e fuori dalla liturgia spesso ci si sente incapaci di andare avanti da soli, quasi che il testo sia impenetrabile.

Ecco perché «sulle tracce del Risorto» vogliamo stare ogni venerdì alle 21, per raggiungere insieme almeno tre obiettivi:

• acquisire un ritmo paziente e disponibile e sintonizzarsi col silenzio di Dio, da cui germina la sua Parola («La Parola zittì chiacchiere mie» chiosava Clemente Rebora)

• trasformare il nostro desiderio di libertà in una rilettura pacata e non superficiale della nostra vita

• ritrovare un livello di comprensione della vita al suo livello più profondo, che ci aiuti a ritrovare una lingua comune e perciò una comunità più vera.

Il testo.

Veniamo al testo evangelico della II domenica di Pasqua, il cui protagonista indiscusso è Tommaso: «uno dei dodici, soprannominato Didimo» (v. 24). Didimo significa ‘‘gemello’’ e, a pensarci, è proprio il nostro gemello. Non c’è nessuno più di lui che ci assomigli. E’ tempo di restituire a questo incredulo e borbottone positivista un’aura più rispettabile. Aveva visto bene chi affermava: «Mi è stata più utile la fede difficile di Tommaso, che quella immediata della Maddalena (!)». Per questo Tommaso ci è simpatico, perché dà voce alla nostra stessa incertezza nei riguardi della fede, alla nostra “fatica di credere”. Se infatti credere non è vedere né toccare, ma dare fiducia, allora la questione ci riguarda. Noi siamo abituati a ragionare sempre coi sensi e farne a meno è come non avere più la terra sotto i piedi. Eppure questo non ha impedito all’uomo di imparare a navigare sulle acque o a volare nel cielo. I sensi non sono stati azzerati, ma sono stati reinterpretati. La fede non cancella i nostri sensi, in un certo senso li esalta tutti insieme in una nuova prospettiva. Vediamo come, ripercorrendo la dinamica dell’incontro del Risorto coi suoi.

1. «Gesù venne, si fermò in mezzo a loro» (v. 19). Quel che sorprende di questa, come di altre apparizioni, è che, in realtà, non sono mai attese, né tantomeno ricercate. Inizialmente la scena è sempre dominata dalla paura, quando non anche dalla rassegnazione. Poi all’improvviso accade qualcosa di imprevisto. L’imprevedibile materializzarsi del Risorto rispetto agli attoniti ed increduli discepoli è “una traccia” da interpretare. Di fatto, i discepoli si lasciano travolgere da un fenomeno inaspettato, inizialmente pure incomprensibile. Da questo punto di vista la fede nella resurrezione «è scaturita da questo travolgimento e cioè da un avvenimento che precedeva il loro pensare e volere, che anzi lo rovesciava»(Joseph Ratzinger). E’ decisivo ritrovare questa priorità del fatto della resurrezione sulla sua interpretazione. C’è prima l’apparizione del Risorto, poi il kerigma e finalmente la fede. Albert Einstein ha rivoluzionato la scienza moderna a partire da un’osservazione casuale, che lo ha indotto a rivedere tutto (la teoria della relatività). Lui stesso, agnostico per definizione, afferma che lo spazio per il mistero è la necessaria premessa per entrare dentro la realtà.

2. «Gli altri discepoli gli dissero: abbiamo veduto il Signore! Ma egli rispose: Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo costato non crederò» (v. 25). Se la fede nasce da un imprevisto, resta vero però che non diventa tale, se non passa dal semplice vedere – ormai impossibile – al puro credere. E Tommaso diventa così l’anello di congiunzione tra la prima generazione e la nostra di oggi. Credente è propriamente chi, superato il dubbio e la pretesa di vedere, accetta la testimonianza di chi ha veduto. Al tempo di Gesù, visione e fede erano abbinate, anche se non automatiche (quanti, pur vedendo i miracoli, di fatto poi lo rifiutarono), ma ora, nel nostro tempo, la visione non deve essere più pretesa: basta la testimonianza apostolica. Il segno della fede si è trasformato, dunque. Non è più oggetto di visione diretta, ma di testimonianza. Il che non significa affatto che al credente sia preclusa l’esperienza del perdono, della pace, della gioia, come controprova vitale della verità pasquale.

E’ tempo d’altra parte che ci si persuada che non esiste un’unica forma di accesso alla realtà che è data dalla conoscenza tecnico-scientifica. Senza dubbio questo metodo è legittimo e garantisce da false e ricorrenti presunzioni. Ma il reale è enormemente più ampio di quello che è rilevabile con gli strumenti della scienza. Da questo punto di vista ciò che è razionale è senz’altro reale. Ma non tutto ciò che è reale è necessariamente razionale. Solo per fare un esempio: tutto ciò che è storico è vero, ma non tutto ciò che è vero è storicamente dimostrabile in senso stretto. Il Big Bang è senza dubbio vero, ma non è storicamente documentabile! Per di più, nel caso della resurrezione, come si fa a dimostrare un evento che per definizione è metastorico (non metà storico), cioè al di là di questo tempo e di questo spazio?

3. «Beati quelli che pur non avendo visto crederanno». La fede è strutturalmente ecclesiale, cioè dipende dalla mia libertà in connessione con quella degli altri. Non è affatto scontata pensarla così oggi, quando la fede sembra una ricerca solitaria, del tutto sganciata dagli altri, quasi che ognuno ricomincia – in questa che è l’avventura decisiva – semplicemente dal proprio io. Degli altri – realisticamente – non si può fare a meno, anche se in qualche caso gli altri possono diventare un ostacolo. Ecco descritta in breve quella compagnia singolare che si chiama “chiesa”. E di qui due posizioni insidiose, che si rivelano ben presto scorciatoie inconcludenti. C’è per un verso chi cerca Cristo senza la comunità, e chi dall’altra cerca la comunità senza Cristo.

Alla prima posizione fanno riferimento tutti quelli che bypassano la Chiesa, puntando direttamente a Dio. Ma con quale coerenza e soprattutto con quali esiti? E’ possibile in una ricerca così basilare prescindere dagli altri? Non c’è il rischio di una fede che segue più i propri bisogni, istinti, pregiudizi, che non un vero cammino, altro da sé? E a pensarci: onestamente da chi abbiamo appreso le prime domande e le prime risposte sulla fede? E come è possibile sperimentare il perdono se non viene fuori da noi?

Altrettanto vacua è la pretesa di chi sembra cercare la comunità “senza” Cristo E qui si ha a che fare con tanti che fanno parte della Chiesa, ma per i più svariati motivi. Sono quelli che cercano un “posto al sole” (leggi gratificazione); sono quelli che vivono frustrazioni o complessi e cercano un’alternativa o via di fuga (leggi compensazione); o ancora quelli che vanno a passare il tempo (leggi socializzazione). In tutti questi casi manca la vera radice, che è Cristo, e così fatalmente prendono il sopravvento altre logiche: critiche, contrapposizioni, delusioni.

Tommaso più che mettere il dito nelle piaghe di Cristo (il testo evangelico non autorizza a ritenerlo per vero) mette il dito nella piaga che è la nostra fede sempre in pericolo. Per sprofondare fortunatamente alla fine nelle parole che ne rivelano l’autentica statura: «Mio Signore e mio Dio!».

Questo fatto non è solo indietro nel passato, ma anche nel nostro oggi. La fede genera anche ai nostri giorni forme inaudite di testimonianza che provano che esiste un’altra possibilità di vivere e di morire. Come anche di recente è accaduto a quattro donne, missionarie della Carità, Suor Anselm dell’India, Suor Marguerite del Ruanda, Suor Judit del Kenya, suor Reginette, originaria del Ruanda, trucidate lo scorso 4 marzo nello Yemen da un commando di fanatici islamisti. Altre dieci persone hanno perso la vita nell’attentato: erano laici impegnati nella Casa accoglienza che ospita i cittadini più poveri di Aden, in gran parte anziani e disabili. Alle suore era stato offerto di mettersi al sicuro altrove, visti i pericoli del terrorismo, ma esse hanno preferito restare, come accennano in una lettera scritta alle consorelle per giustificare il loro rimanere. «Ogni volta che i bombardamenti si fanno pesanti, noi ci inginocchiamo davanti al Santissimo esposto, implorando Gesù misericordioso di proteggere noi e i nostri poveri e di concedere pace a questa nazione…E poi corriamo velocemente per raggiungere i nostri poveri che ci attendono sereni. Sono molto anziani, alcuni non vedenti, altri con disabilità fisiche o mentali. Subito iniziamo il nostro lavoro pulendo, lavando, cucinando, utilizzando gli ultimi sacchi di farina e le ultime bottiglie di olio proprio come la storia del profeta Elia e della vedova. Dio non può mai essere da meno in generosità fino a quando rimaniamo con Lui e i suoi poveri. Quando i bombardamenti sono pesanti ci nascondiamo sotto le scale, tutte e cinque, sempre unite. Insieme viviamo, insieme moriamo con Gesù, Maria e la nostra Madre».