“Voi siete il sale della terra… voi siete la luce del mondo”. Ignoriamo il contesto preciso in cui Gesù rivolge queste parole. Forse volevano esprimere la perdita di significato del giudaismo, rivolte ai capi dei giudei, intendevano sottolineare la loro grave responsabilità di custodi infedeli della parola del Signore. Il linguaggio è comunque quello sapienziale e le due immagini servono a manifestare la ricaduta concreta della fede che è feconda o non è ed è pure una luce per tutti oppure non serve a niente. Se la fede dei cristiani dunque non rende saporita l’esistenza del mondo e lo lascia al buio è del tutto inutile. Al punto da meritare la condanna ultima, laddove Matteo in termini allusivi parla del sale insipido che “lo si getta via ed è calpestato dalla gente”.
Tale era la situazione della chiesa ai tempi di S. Domenico, che venne definito non a caso “lumen Ecclesiae”. La comunità cristiana, infatti, era diventata insipida e del tutto irrilevante perché non annunciava più il Vangelo, troppo presa soltanto da sé stessa. Domenico che era soltanto un canonico piuttosto stanziale si fece coinvolgere in un viaggio fin verso la Danimarca e da lì inizio il suo itinerario verso le strade della evangelizzazione dell’Europa. Domenico era “tenero come una madre, duro come un diamante”, ma soprattutto è stato un “atleta di Dio” come lo definisce Dante Alighieri (Paradiso XII, 54) perché ha saputo accorgersi dei segni dei tempi, ma senza limitarsi a prendere atto dell’ineluttabile o delle mode, ma per essere segno di contraddizione per il proprio tempo.
Domenico ha dato origine ad una grande famiglia composta dai frati, dalle monache, dalle suore e dai laici, cui ha lasciato questo programma di vita, secondo le parole del baeato Giordano di Sassonia che fu il suo successore alla guida dell’Ordine: “Vivere onestamente, imparare ed insegnare”. Sono le tre indicazioni che lascia anche a noi per essere sale e luce: vivere onestamente cioè non vivere e non vegetare, senza alcuna consapevolezza del nostro andare. Poi imparare perché c’è sempre da conoscere e non si è mai abbastanza conoscitori della verità. E, infine, in-segnare che vuol dire trasmettere ad altri quei “segni” che danno ad intendere la vita e il suo mistero. Domenico canonizzato a Rieti il 13 luglio 1234 è stato un cristiano con sapore e una luce per tanti. In lui “nessuno sfoggio di pietà bizzarra, ma semplice umanità” (S. Tugwell) e questo grazie ad una fede piena e traboccante di carità, sbocciata e fiorita dalla semplice presa di coscienza che Dio ci ha amati per primo e per questo ha dato a noi la possibilità di amare realmente nella verità: Dio, noi stessi, il prossimo e rispettare tutto quanto è stato creato da Dio per amore (1 Gv 4,19).