Omelia per la XXX Domenica del Tempo Ordinario – Anno C

(Sir 35,15-17.20-22; Sal 33; 2 Tm 4,6-8.16-18; Lc 18, 9-14)
23-10-2016

«La preghiera del povero attraversa le nubi, né si quieta finché non sia arrivata». Per comprendere il senso di questa affermazione del Siracide, basta entrare nella parabola del fariseo e del pubblicano al tempio all’ora della preghiera. Il fariseo si limita a ringraziare, scrupoloso nell’osservanza della forma: in piedi, pregando sottovoce, dicendo grazie per essere un separato, cioè lontano dal peccato. Non si tratta di una caricatura. Il fariseo è una figura drammatica. Non è banalmente un incoerente, che dice ma non fa. Egli esegue puntualmente quanto prescritto dalla tradizione circa la preghiera. E prega esattamente come suggerisce il Talmud: «Io ti ringrazio, Signore mio Dio, di avermi fatto partecipe di quelli che siedono a istruirsi nella tua casa, e non di quelli che siedono agli angoli delle strade. Perché, io quanto loro, ci alziamo presto: io, per avviarmi alle parole della legge, loro per avviarsi alla vanità. Ambedue corriamo: io verso la vita del mondo che verrà, loro verso la fossa della perdizione».

Più chiaro di così! Dove sta l’errore? Non c’è alcun errore. Finché non entra in scena il pubblicano, cioè un essere spregevole che faceva la cresta alle tasse, collaborazionista degli infami romani che sfruttavano la povera gente ed erano odiati da tutti. Il pubblicano non entra nel tempio, se ne sta all’esterno e più che pregare grida verso l’alto, “non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo «O Dio, abbi pietà di me, o Dio…(che sono il) peccatore».

Il pubblicano tornò «a causa sua giustificato, perché chiunque si esalta sarà umiliato, chi invece si umilia sarà esaltato». L’errore sta nel confronto che il fariseo istituisce tra sé e gli altri invece che con Dio, quando afferma: «E non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adulteri, e neppure come questo pubblicano».
Pregare è accettare il confronto con Dio che è l’unico liberante ed autentico. Di fronte agli altri si può recitare. Se rubi e hai buoni avvocati puoi farla franca. Ma davanti a Dio no. Ecco perché molti disertano la preghiera perché costringe ad una verità che spesso fuggiamo. Ci può essere però un modo sbagliato di pregare che è quello di esibirsi davanti a Dio senza concedere alcuno spazio alla sua parola. Come il fariseo. A insegnarci a pregare paradossalmente è il pubblicano. Lui non giudica nessuno e non cerca di difendersi davanti a Dio. Si presenta disarmato, ma consapevole della pietà di Dio misericordioso. Questo è il Vangelo da annunciare, cari catechisti, per introdurre in un mondo meno competitivo e falso i nostri ragazzi che si affacciano alla vita insicuri e speranzosi. Buon lavoro!