Omelia in occasione dell’inaugurazione della chiesa di San Gregorio Magno a Cantalice

XXV domenica del Tempo ordinario, anno b (Sap 2, 12.17.20; Sal 53; Gc 3,16-4,3; Mc 9, 30-37)
20-09-2015

Non potrebbe esserci distanza maggiore tra il Maestro e i discepoli mentre camminano per via. Gesù per la seconda volta lascia intendere che a Gerusalemme lo attende sofferenza e morte, altro che successo e gloria! Lo dice apertamente: «Il Figlio dell’uomo viene consegnato nelle mani degli uomini e lo uccideranno; ma, una volta ucciso, dopo tre giorni risorgerà». A parole lucide e tragiche fa riscontro la totale incomprensione dei suoi. Non vogliono ascoltare certe cose e finiscono per discutere su chi sia il più grande tra loro.

Come si spiega questa reazione così gretta? E, soprattutto, come mettere insieme il coraggio e la tensione di Gesù, che si incammina verso la Città santa, e la superficialità e la meschinità dei suoi, che si spartiscono le poltrone anzitempo? In realtà, la reazione dei discepoli, per quanto sbagliata, è quella che sempre prende l’uomo di fronte allo spauracchio della morte. C’è sempre in noi una paura ad accettare i propri limiti e tra questi la morte è il più radicale. Abitualmente non ci si pensa mai e comunque, quando accade, lo si fa soltanto di striscio, pensando a quello che potrebbe accadere agli altri. Ma quando ci si ritrova al suo cospetto, si cerca al più presto una via di fuga.

E la reazione istintiva è quella di vincere la paura di morire facendosi tentare dalle cose, dal potere, dal sesso, dal successo. E’ strano, ma è così! Perché, ad esempio, certe volte invecchiare significa peggiorare nel carattere e nello stile personali? Perché certi “trasalimenti” da insospettabili cinquantenni/sessantenni, che mandano tutto a scatafascio nella famiglia per inseguire una nuova storia? Perché la spregiudicatezza che non guarda in faccia a nessuno pur di arraffare e depredare? Perché? Perchè abbiamo paura di morire e finiamo per soccombere a certi impulsi oscuri, che tirano fuori il peggio di noi stessi.

Gesù non replica stizzito o incompreso. Si limita a compiere un gesto, collocando al centro un bambino, che abbraccia, per poi affermare: «Chi accoglie uno solo di questi bambini nel mio nome, accoglie me; e chi accoglie me, non accoglie me, ma colui che mi ha mandato». E’ per dire che non si vince la paura sgomitando e prevaricando, ma accogliendo e servendo. E’ provocatorio fino in fondo: egli stesso si paragona ad un bambino, che ai suoi tempi non aveva alcun diritto ed era completamente in balia dell’altro. Perché si capisca finalmente che «se uno vuol essere il primo sia l’ultimo e il servitore di tutti».

L’unico antidoto alla morte è l’amore. Solo quando ci si prende cura degli indifesi, dei bisognosi, dei poveri, si riesce ad invertire la paralisi che produce il senso della fine. Anche se, quando si fa del bene, occorre stare bene attenti. C’è sempre qualcuno che si irrita e te la fa pagare. Come lascia intendere il brano del libro della Sapienza: «Tendiamo insidie al giusto, che per noi è d’incomodo… mettiamolo alla prova con violenza e tormenti, per conoscere la sua mitezza e saggiare il suo spirito di sopportazione…». Quanto è difficile essere sé stessi nell’ambiente di lavoro, ad esempio. Se fai il tuo dovere sta’ tranquillo che qualcuno si irriterà e ti prenderà di petto. Ma, esattamente come il Maestro, non bisogna retrocedere e andare avanti con consapevole coraggio.

Alla fine si tratta di capire se a prevalere è la paura di morire o la voglia di vivere.

Riusciremo a non farci intrappolare dalla paura della fine e a liberare le nostre energie migliori? Fin quando la litigiosità e la polemica hanno il sopravvento, non si riesce mai a mettere a sistema il contributo di tutti. Se invece si allenta la pretesa di imporsi e si riacquista la serenità del cuore, si troveranno mille vie per crescere insieme. Lo fa emergere con finezza psicologica anche Giacomo: «Da dove vengono le guerre e le liti che sono in mezzo a voi? Non vengono forse dalle vostre passioni che fanno guerra alle vostre membra? Siete pieni di desideri e non riuscite a possedere; uccidete, siete invidiosi e non riuscite ad ottenere; combattete e fate guerra».

Vincere la paura sotterranea che si nasconde tra le pieghe dei nostri comportamenti, ci restituisce alla pace e alla serenità. Il coraggio di credere è la sola strada per superarsi. Come nella frase attribuita a Johann Wolfgang Goethe e a Martin Luther King: «Un giorno la paura bussò alla porta, il coraggio andò ad aprire ma non trovò nessuno».