Omelia funerale don VINCENZO NANI
Basilica S. Agostino, 24 maggio 2024
Carissimi,
se è vero che la Parola ha il potere di segnare realmente e indelebilmente la vita di un credente, questo vale ancora di più per un ministro del Signore. Egli prima ancora che annunziatore ne è ascoltatore. Perciò il nostro atteggiamento in questa Eucaristia non può che essere anzitutto di ringraziamento per il dono della vita e del ministero che don Vincenzo ha vissuto col suo stile e il suo carattere, senza risparmiarsi in una amicizia diuturna col Signore che ha dato sapore alla sua esistenza vissuta sempre come dono e come dono generoso nel suo ricco apostolato come parroco in diverse realtà (Torano, Ornaro, Posta, Belmonte, S. Barbara e San Giovanni reatino), nell’ufficio catechistico e nell’ufficio scuola, come Rettore del nostro Seminario, come cappellano della Pia Unione di S. Antonio e assistente spirituale del Movimento Cristiano Lavoratori. In ciascuno dei compiti affidati ha voluto esprimere il suo legame personale col Signore e il suo amore alla Chiesa offrendoli a quanti ha incontrato, con l’originalità del talento che il Signore gli ha consegnato.
L’Apostolo Paolo rivolgendosi al giovane Timoteo con accento solenne “consegna” la verità del ministero apostolico che è essenzialmente una partecipazione alla vita di Gesù, una partecipazione così intima e reale che arriva a condividere persino la sofferenza e la morte “per amore di Gesù” e per l’edificazione del corpo mistico, la Chiesa.
Ci pare di sentire in filigrana le stesse parole che il Vescovo pronuncia nel Rito di ordinazione quando l’Apostolo fa nota al discepolo ciò che è da attuare nel ministero: annuncia, insisti, ammonisci, rimprovera, esorta, vigila, sopporta, compi, adempi. Ogni verbo se è vero che indica chiaramente una responsabilità unica è ancor più vero che rivela il senso e la dignità di un dono che supera il ministero e il ministro stesso e che egli deve sempre portare con la consapevolezza di chi sa di aver ricevuto un tesoro in vasi di creta: sì, il ministro sa di essere stato chiamato a portare in sé il Mistero stesso di Gesù e sa che la sua vita è “riuscita” per davvero quanto più manifesta Lui e dimentica se stesso, sapendo che la sua vita è ormai nascosta con Cristo in Dio e si rivelerà pienamente solo nella Pasqua eterna. Questa convinzione (mi pare di cogliere da diverse attestazioni che mi sono giunte per don Vincenzo) ha attraversato sempre la sua vita, col suo tono pacato ma non per questo meno intenso. Anche gli ultimi anni, all’indomani dell’incidente, costretto a farsi assistere, ha vissuto il tutto con esemplare serenità e fede in quel Dio che ancora oggi non lascia nessuno “orfano” e solo e ci abbevera al Suo Spirito per condurci a verità.
Le non poche volte in cui l’ho incontrato presso l’Alcim a Contigliano don Vincenzo trasmetteva un senso di attesa serena. È la serenità di chi che sa di aver combattutto la buona battaglia, di aver conservato la fede, di non sentirsi padrone di nulla e di non aver trattenuto nulla per sé.
Dalla vita e dall’ultimo tratto vissuto da don Vincenzo vorrei cogliere ancora un motivo di riflessione per tutti, soprattutto per noi ministri del Signore.
L’Apostolo Paolo sa che il suo corpo sta per essere sparso in libagione. Si avvicinava per lui l’esperienza della morte. Ne fa cenno spesso nelle sue lettere. Nella società odierna che in svariati modi esorcizza la morte la Parola interroga noi dinanzi a questa realtà. Come ci approcciamo? Prenderne coscienza è fondamentale, come fondamentale è la perseveranza finale, che è tra le grazie più importanti della nostra vita, da chiedere con insistenza al Signore. La Parola non ci lascia “orfani”, non ci lascia vagare lontano da una via chiara: l’Apostolo dei pagani ci è di esempio anche nel momento decisivo della vita, la morte, dentro cui si colloca la pienezza della nostra vocazione. Se non siamo coscienti di questo, rischiamo di essere dei mestieranti, degli eterni adolescenti, degli scontenti, magari degli arrabbiati, anche a fronte dell’imposizione delle mani ricevuta. La paura della morte può così schiavizzarci da manifestarsi in infiniti modi: con la bramosia di possedere, di consumare, di prevaricare, di ottenere le cose subito, illudendoci di superare in qualche modo la morte. E pure i comportamenti di avarizia, di sensualità, di violenza anche verbale derivano dalla paura che l’esistenza abbia fine. È la vittoria cattiva sulla paura della morte, propria di coloro che non si danno pace per dimenticarla. E poi, invece, c’è la vittoria buona di Gesù e con Gesù. E’ la vittoria della Pasqua. È la vittoria di chi come Paolo si è lasciato liberare dalla Pasqua di Gesù e di essa si nutre fino alla fine. E’ la vittoria alla quale anche il nostro don Vincenzo ha fatto fronte preparandosi con tutto se stesso, dedicandosi assiduamente, col suo ministero ecclesiale, al Mistero che ha custodito con fedeltà. Il Signore lo ricompensi in eterno tra i suoi servi buoni e fedeli e preghi tanto per noi, per la nostra Chiesa reatina che egli ha amato di gran cuore.