Omelia in occasione delle esequie di don Sesto Vulpiani

Martedì della IV settimana di Pasqua (Anno B), (At 11, 19-26; Sal 87; Gv 10,22-30)
24-04-2018

«Ad Antiochia per la prima volta i discepoli furono chiamata cristiani». Il nuovo nome di “cristiani” dato ai discepoli di Gesù esprime due cose: il legame profondo che unisce queste persone a Cristo e la rottura del cristianesimo con il giudaismo. Ancor più colpisce il fatto che siano gli altri a definirli cristiani e non loro a dichiararsi tali. Non basta dirsi cristiani senza esserlo. Bisogna esserlo, anche senza dirlo. Emerge già qui una caratteristica di don Sesto che è stato essenziale sulla sua identità e ha fatto parlare le cose che faceva e che viveva. Questo sua essenzialità che alla fine ha coinciso anche con l’asciuttezza del suo fisico che è andato lentamente consumandosi, è un’indicazione per ciascuno di noi. Quello che siamo non va tanto affermato, ma si fa strada tra le pieghe delle scelte quotidiane, al punto che non già quello che affermiamo, ma quanto viviamo svela se siamo veramente cristiani. Il prete ha da essere, anzitutto, un discepolo del Maestro. Tutto il resto è una conseguenza. E la gente si accorge di chi ha di fronte e al di là delle sue parole e delle sue opere intuisce se c’è un cristiano dietro la scorza del carattere, delle sue capacità dei suoi limiti, dei suoi peccati.

«Se tu sei il Cristo, dillo a noi apertamente». Il Maestro si ritrova a dover chiarire ancora una volta chi è. Non perché Egli sia confuso o contraddittorio, ma perché i suoi interlocutori non sono aperti a Lui. Questa fatica di essere accettati è anche la croce segreta del prete che vive una tensione tra ciò che è e quello che gli altri vogliono che sia. Come sarebbe stato il Messia si interrogavano i credenti del tempo di Gesù? Come dovrebbe essere il prete oggi, si domandano le persone? Don Sesto è stato un professore che amava stanare i ragazzi, un pastore in mezzo alla gente, un affabile conversatore, non senza qualche punta di ironia e, perfino, di provocazione. Ma la sua cifra nascosta è stata quella di essere uno che ha ascoltato la voce del Buon Pastore. Anche quando Gesù dice si sé nel Vangelo ora proclamato: «Io e il Padre siamo una sola cosa». Un prete è chiamato a cercare soltanto questa profondità del mistero di Dio nell’uomo Gesù di Nazareth. La fede di don Sesto, a dispetto del suo frequente disincanto, è stata la qualità che gli ha reso più lieve il momento della sofferenza e, da ultimo, il suo congedo da noi.