Omelia in occasione della V Domenica di Quaresima

(Ger 31, 31-34; Sal 51; Eb 5, 7-9; Gv 12, 20-33)
18-03-2018

«Tutti mi conosceranno, dal più piccolo al più grande». Così promette Geremia che conia un’espressione, “alleanza” (berit), che significa relazione, responsabilità, appartenenza. E precisa che sarà “nuova” perché questo impegno unilaterale di Dio a favore del suo popolo, nonostante ripetute infedeltà, è la “sicurezza affettiva” da cui tutto può rinascere. Non a caso Gesù stesso quando vorrà esprimere il suo dono d’amore nel cuore della passione dirà: «Questo è il mio sangue dell’alleanza» (Mc 14, 24). Tutti sappiamo che senza questa dotazione di base è difficile affrontare le sfide della vita. La conferma viene da uno studio di alcuni scienziati di Harvard per i quali vive bene e a lungo chi gode di maggiore relazioni affettivamente importanti (padre, madre, moglie, figli, amici…). Più dei livelli del colesterolo insomma conta un legame affettivo stabile. Imparare a coltivare rapporti stabili conta di più che non fumare, non bere e mangiare frutta, verdura e pesce.

Anche la pagina di Giovanni mette al centro un rapporto importante che sta per realizzarsi. Si tratta di “greci” che vogliono “vedere” Gesù. La loro però non è semplice curiosità per il giovane profeta che fa parlare di sé, ma è il desiderio di persone in ricerca che vogliono entrare in contatto con il Maestro. I greci sono l’espressione di una mentalità antica ma sempre attuale che è incarnata dal grande Socrate che è umile e libero. Per questo, a differenza dei giudei, i greci mostrano di essere disponibili all’incontro con Gesù perché sanno una cosa sola di non sapere e sono liberi dai condizionamenti religiosi. E noi quanto siamo umili al punto di riconoscere che siamo veramente analfabeti e quanto siamo disinteressati al punto di non mettere nulla tra noi e Dio?

Alla richiesta dei greci Gesù sembra non rispondere direttamente. Fa invece riferimento alla sua “ora” che precisa essere quella della sua glorificazione. E noi restiamo perplessi: che vuol dire essere glorificato? E Gesù chiarisce subito: significa non la notorietà e la falsa popolarità, ma scoprire ciò che rende veramente se stessi e capaci di affrontare la vita. La risposta è «se il chicco di grano, caduto in terra, non muore rimane solo; se invece muore, produce molto frutto». Gesù sta parlando di sé, di quello che sta per accadergli. Ma è lucido e determinato. Paradossalmente non è la morte a rendere il chicco di grano sterile, impotente e solo. Ma è la mancanza di vita, cioè il puntare solo su se stesso, sulla propria autosufficienza, sul proprio tornaconto, ciò che rende sterile, inutile e infruttuoso il nostro esistere. Così il Maestro lascia intendere che chi crede non fugge la morte, ma l’affronta con un di più di amore per qualcuno. Ecco perché da quella croce «attirerà tutti a sé».