Omelia in occasione della solennità di Santa Chiara

Solennità di Santa Chiara (Os 2, 14-15.19-20; Sal 44; 2 Cor 4,6-10.16-18; Gv 15, 4-10)
11-08-2016

«Devasterò le sue viti e i suoi fichi…(perché) seguiva i suoi amanti mentre dimenticava me». Le parole di Osea suonano improvvisamente minacciose e cariche di violenza rispetto a quelle più note in cui si vaticina: «Ecco la attirerò a me, la condurrò nel deserto e parlerò al suo cuore». La storia del popolo di Israele è una permanente tensione tra la fedeltà di Dio e l’infedeltà del popolo che si prostituisce ai Baal ed abbandona JHWH. Non è molto diversa dalla condizione di oggi, dove sembra che Dio si sia eclissato all’orizzonte ed altri siano i riferimenti cui dare importanza. Ma, in fondo, l’alternativa è sempre la stessa: scegliere tra Dio e i suoi surrogati, cioè gli idoli. Ai tempi di Chiara il contesto era all’apparenza religioso, tutto era ricondotto a Dio e al suo giudizio e tuttavia la chiesa attendeva di essere ricostruita dalle fondamenta. Se Francesco è l’artefice di questa opera di rinnovamento con la sua scelta per la povertà e l’essenzialità, Chiara, nata ad Assisi nel 1193 da buona famiglia, è la prima “pianticella” di Francesco. La sua conversione culmina nella domenica delle Palme del 1211, quando riceve dal vescovo Guido la palma e la notte successiva si rifugia alla Porziuncola. Francesco l’accoglie e poi la destina ad un monastero benedettino a Bastia. Chiara si trasferirà poi a San Damiano, dove resterà ininterrottamente fino all’11 agosto del 1254, giorno della sua morte. Abbandonato il cliché della storia romantica tra i due, ancorché sublimata, siamo di fronte ad una credente che decide di seguire il volto autentico di Dio e lascia dietro di sé ogni contraffazione. Da lei impariamo che Dio esercita un fascino irresistibile se non gli opponiamo resistenza e soprattutto se lasciamo che sia Lui a rivelarsi e non noi a manipolarlo.

La pagina di Paolo non a torto definisce questa esperienza come un «tesoro in vasi di creta», mostrando che la fede non è un percorso tranquillo e spensierato che possa giungere in porto senza profondi turbamenti e gravi sofferenze. L’apostolo è esplicito al riguardo: «Siamo tribolati da ogni parte, ma non schiacciati; incerti, ma non disperati; cacciati, ma non abbandonati; atterrati, ma non uccisi». La vita di Chiara conoscerà grandi sconvolgimenti: la malattia per ventinove anni su quarantadue trascorsi a San Damiano; l’attacco dei Saraceni il 22 giugno 1241; la difficile conduzione di una esperienza nuova dopo la scomparsa di san Francesco. Ma lei sarà sempre capace di non piegarsi e di non spezzarsi alla sofferenza, alla fatica e alla violenza. Resisterà intrepida e sarà di conforto e di sostegno alla sue monache, introducendo una nuova possibilità per la donna del suo tempo, il cui destino non sarebbe stato più segnato dal matrimonio combinato, ma dalla clausura, che è una via alternativa a quella codificata al suo tempo.

Il segreto della sua forza e della sua bellezza ce lo svela il passo di Giovanni, dove Gesù si definisce la vite vera, in aperta polemica con le convinzioni ellenistiche del suo tempo, segnate da un generico sincretismo religioso: «Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me, e io in lui, questi porta molto frutto; perché senza di me non potete far nulla». La vigna, che era Israele, è ormai sostituita dall’unica vite che è Cristo e solo legati a lui si riesce a portare frutto. Così è stato per Chiara, che ha vissuto questo legame sponsale con Cristo, un amore fedele e appassionato che l’ha condotta attraverso tutte le difficoltà della vita.

Questa relazione a due così stringente ed esigente è la novità del cristianesimo, che non abolisce il valore dell’io, ma lo lega a doppio filo al tu di Dio, che si fa conoscere in Gesù Cristo. Ne ricaviamo due conclusioni pratiche per la nostra vita.

Il credente vive di una relazione intima e vitale con Gesù, al pari di ogni rapporto importante. Non è più un generico sentimento religioso fatto di paura o di rispetto, ma è un dialogo stretto di due cuori che vivono all’unisono. Senza questa profondità di legame la fede rischia di essere un vestito per le grandi occasioni e non l’alimento della vita quotidiana.

Senza questo rapporto aperto e palpitante non si riesce a condurre in porto la nostra vita.

Chiara e Francesco decisero di cambiare il mondo in frantumi. A noi è chiesto di seguirli per quella stessa strada.