Omelia in occasione della solennità dell’Assunzione della Beata Vergine Maria

Solennità dell’Assunzione della Beata Vergine Maria (Ap 11, 19a¸12,1-6a.10ab; Sal 44; 1 Cor 15,20-27a; Lc 1, 39-56)
15-08-2016

Al giro di boa dell’estate, sempre in bilico tra corpo e anima, distensione fisica e stordimento dello spirito, apertura e confusione della mente, la Chiesa vive la festa più popolare di Maria, che è creduta «assunta in cielo in anima e corpo». Maria entra definitivamente nello spazio di Dio con tutta sé stessa, dunque anche col suo corpo. Come è possibile credere a tanto?

Forse la risposta ci viene proprio dall’incontro di Maria con Elisabetta: due donne, una di fronte all’altra, che si protendono nell’abbraccio e due creature germinali che comunicano segretamente tra di loro. E poi la voce di Maria che si dispiega in un canto lirico, che, a proposito di quello che sta vivendo nel suo corpo, inneggia alla misericordia di Dio. Ecco il punto: in questo corpo così piccolo ed effimero, ma anche così vitale e meraviglioso, può prendere dimora l’infinita grandezza di Dio. Noi a volte pensiamo che Dio lo si incontra quando finisce il corpo, mentre in realtà è lo Spirito che si manifesta attraverso il corpo. Noi non abbiamo, ma “siamo” un corpo. Di qui la sua bellezza e la sua dignità. Ogni espressione corporea è il riflesso di un moto dell’anima: dal pallore al rossore, dalla carezza al bacio, dall’abbraccio all’amore. Non c’è mai un corpo privo della profondità della sua anima. Proprio quello che manca alla nostra generazione, che qualche volta smarrisce l’incanto del corpo e lo intende come una cosa, quando invece si tratta sempre di un volto. Dall’interno di un campo di concentramento Etty Hillesum scrive nel suo diario: «La grandezza dell’essere umano, non sta in quello che si vede, ma in quello che ha nel cuore. La grandezza dell’uomo non deriva dal posto che occupa nella società, né dal ruolo che in essa svolge, né dal suo successo. Di tutto questo può essere privato da un giorno all’altro. Tutto questo può scomparire in un attimo. La grandezza dell’uomo sta in quello che gli rimane proprio quando tutto quello che gli dava un qualche lustro esteriore viene meno. E cosa gli resta? Le sue risorse interiori e nient’altro».

C’è, a dire il vero, una dimensione meno luminosa dei nostri corpi, sottratti alla bellezza divina. Il nostro corpo parla pure il linguaggio della fatica, della sofferenza, dell’abbrutimento, della corruzione. Ci sono corpi assetati, ammalati, violentati, oppressi dalla violenza. Mentre il corpo di una donna incinta è tutto un inno alla vita, ci sono tante altre situazioni che inneggiano alla morte. Dove si manifesta la solidarietà di Dio in questi casi? Nell’assunzione di Maria: non era possibile che colei che ha generato la vita potesse essere abbandonata alla morte. La stessa sorte sarà di chi vivrà come discepolo del suo Figlio. Non dobbiamo solo lasciarci sopraffare da un sentimento di nostalgia e di rassegnazione per il tempo che passa, ma prepararci alla resurrezione. Ciò significa entrare dentro la vita eterna con tutte le nostre esperienze conosciute attraverso il dono del corpo: strette di mano, sorrisi, carezze, e ancora quello che esercita sul nostro corpo una qualche forma di contatto: il vento, il mare, la montagna, il cielo stellato, il silenzio. Lasciamoci accarezzare da tutta questa bellezza. E il modo migliore è lasciarci trasfigurare dalla grazia della gentilezza. Come scrive la poetessa Alda Merini: «Per un saluto mancato si può anche morire, soprattutto quando si tratta di persone anziane, abbandonate alla loro solitudine».

Maria, insegnaci la gratitudine e il gaudio di tutti i distacchi. Insegnaci a dire sempre sì con tutta l’anima. Soccorri la nostra fragilità e pronunzia tu stessa per noi il nostro “fiat”. Amen!