Omelia in occasione della riapertura della chiesa di Santa Maria Maddalena a Colli sul Velino

XVII domenica del Tempo ordinario, anno c (Gen 18, 20-32; Sal 138; Col 2, 12-14; Lc 11, 1-13)
24-07-2016

«Chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto». L’invito è perentorio, ma – preso alla lettera – sembra tragicamente smentito dalla realtà. Si chiede, ma spesso non si ottiene; si cerca, ma non si trova; si bussa, ma raramente qualcuno apre. Eppure così è, se è Dio, e non gli uomini, Colui a cui si chiede, si cerca, si bussa.

È a Dio che bisogna chiedere, è Lui che va cercato, da Lui si può bussare sempre. Questa è la preghiera. Per questo in un certo senso tutti pregano. Anche i non credenti. «Non prego perché Dio esiste, ma perché Dio esista», ha detto uno scrittore non credente. In effetti, solo un ateo tronfio e autosufficiente può sentire che basta a se stesso. Poi però c’è la preghiera religiosa, oltre quella laica. Avete mai visto pregare un ebreo o un musulmano? Si coglie un coinvolgimento che è di tutto il corpo, una resa all’Assoluto che non umilia, ma rigenera.

Com’è la preghiera cristiana? Ce la fa intendere Gesù, che, richiesto dai suoi, non si dilunga in una lunga spiegazione, ma suggerisce un atteggiamento più che delle formule, incalza con due esempi chiari e svela che cosa soprattutto va chiesto.

Anzitutto l’atteggiamento. I suoi discepoli lo vedevano all’improvviso isolarsi, nelle ore più impensate, e poi lo ritrovavano come rinfrancato. Si domandavano che facesse. E per questo gli chiedono come pregare. E Gesù che fa? Dice quello che fa e come si rivolge a Dio, chiamandolo Abba. Anche per gli ebrei Dio è padre, e non alla maniera di chi inibisce e punisce.

Ma Gesù aggiunge una sfumatura originalissima: non è padre, è papà. Questa versione addolcita non sa di sentimentalismo, ma ci fa capire che non ci si rivolge a un estraneo, né a un rivale, ma alla nostra origine e dunque al nostro futuro. Per questo viene facile chiedere che venga il suo regno e si faccia la sua volontà.

Pregare è affidarsi a Lui, che la sa più lunga di tutti noi messi insieme. Poi seguono tre richieste: il pane, il perdono e la liberazione dal male. Non una lista della spesa, inutile e ridondante, ma l’essenziale. Per vivere e non sperperare, per sentirsi in pace e per evitare il male dell’incredulità e della disperazione.

Per meglio affermare l’atteggiamento Gesù lo illustra con due esempi. Nel primo c’è un amico che è svegliato nel cuore della notte da un altro amico che gli chiede il pane per un ospite di passaggio. Qui al centro c’è proprio quest’ultimo: pregare è rendersi conto che non si arriva a Dio scartando gli altri, ma insieme agli altri. C’è sempre da tener conto dell’insieme se si vuol chiedere con efficacia. Chi si disinteressa dell’altro manca l’obiettivo. Per questo è emozionante il dialogo tra Dio e Abramo per salvare la città. Non è Dio che si converte accettando il numero sempre più basso dei giusti, ma è Abramo che capisce che bisogna far leva anche su pochi, purché disponibili a sacrificarsi per gli altri.

E poi c’è il padre che non dà al figlio un sasso se chiede un pane, o un serpente se chiede un pesce, o uno scorpione se chiede un uovo. Come dire che a maggior ragione Dio ci dà quello che chiediamo e di cui abbiamo bisogno e non il suo contrario, sotto mentite spoglie. Ai ragazzi che chiedono da vivere offriamo spesso solo cose da manipolare. Ai popoli che chiedono sviluppo spesso riserviamo solo velenosi piani di aggiustamento strutturale. A chi chiederebbe un po’ di amore ci limitiamo a offrire solo bisogni e dipendenze di vario genere.

Gesù alla fine chiarisce: Dio non è come l’uomo che si limita ad accontentare o, peggio ancora, a tradire le nostre attese. Per questo ciò che più conta è invocare lo Spirito Santo. Cioè lasciarsi ispirare da Dio a cercare e ottenere ciò che giova alla vita. Basterà chiamarlo Abba, Papà! E il resto ci sarà dato in sovrappiù.