Omelia in occasione della Messa della viglia di Natale con la mensa di santa Chiara

(Is 62, 1-5; At 13, 16-17.22-25; Mt 1, 1-25)
24-12-2020

«Giacobbe generò Giuseppe, lo sposo di Maria, dalla quale è nato Gesù, chiamato Cristo». Si conclude così la genealogia di Gesù dopo una sequenza impressionante di nomi che descrivono la storia intricata di Israele – fatta anche di sotterfugi, inganni, mediocrità morale – che conduce diritta alla nascita del Salvatore. La Vergine Maria è il terminale di questa lunga marcia di avvicinamento che racchiude in sé il senso dell’attesa e del compimento. Far memoria di Colei che ha generato l’autore della vita significa, in fondo, riscoprire che questo e non altro è il compito di ogni cristiano: nascere all’incontro con Dio attraverso le vicende liete e meno liete. Si tratta per lo più di donne straniere Tamar, Rahab, Rut e Betsabea. Tamar era incestuosa; Rahab una prostituta; Rut una straniera e vedova; Betsabea una adultera. Il fatto che siano donne e straniere dice già qualcosa. Ma quel che colpisce è che proprio queste donne siano necessarie perché veda la luce il Salvatore. Mi soffermo solo su Tamar che si finge prostituta per farsi mettere incinta dal fratello del suo sposo che l’aveva lasciata vedova senza figli. E così ottiene quel che il suocero, contraddicendo la legge del levirato, avrebbe dovuto consentirle. Ha ingannato certo, ma è più giusta del pio ebreo che l’ha violentata nella sua legittima aspettativa.

Le contraddizioni della vita non impediscono di vivere la gioia del Natale. Questa constatazione ci spinge a vivere con atteggiamenti ispirati alla vostra esperienza della Mensa di santa Chiara: l’empatia, la concretezza, la fratellanza.

L’empatia è la capacità di immedesimarsi nel cuore degli altri, anche quando il nostro cuore è affranto e in subbuglio. La vostra disponibilità in tempi di pandemia è stata illuminante al riguardo perché non vi siete fatti isolare dal virus.

La concretezza dice della vostra capacità di risolvere i problemi quotidiani senza lasciarvi immobilizzare dalle avversità, anche quando si tratta della vostra sede, in attesa di quella che verrà ospitata nel Seminario di piazza Oberdan, a lavori di restauro effettuati.

Infine, la fratellanza che si ricava da una presenza come la vostra che innesca sul territorio una serie di collaborazioni che fanno uscire dall’autoreferenzialità. Come scrive papa Francesco: «Ogni giorno ci viene offerta una nuova opportunità, una nuova tappa. Non dobbiamo aspettare tutto da coloro che ci governano, sarebbe infantile. Godiamo di uno spazio di corresponsabilità capace di avviare e generare nuovi processi e trasformazioni. Dobbiamo essere parte attiva nella riabilitazione e nel sostegno delle società ferite» (Omnes fratres, 77).