Omelia in occasione della Liturgia Penitenziale per i cresimandi e le loro famiglie

(Isaia 1, 11b.15-18; EzEs 36, 26-28)
09-10-2015

Il brano ascoltato è un insolito mix del profeta Isaia e del profeta Ezechiele. Nel primo si dice ciò che va eliminato, nel secondo ciò che va creato. Prima viene la pars destruens e poi la pars costruens. La prima prende corpo nelle parole di Isaia, la seconda in quelle di Ezechiele.

Isaia è un uomo sposato con due figli, che non teme di esporsi contro l’ipocrisia del popolo che compie gesti religiosi, ma poi vive come se Dio non ci fosse. Per questo JHWH sbotta con parole inequivocabili: «Sono stanco dei vostri numerosi sacrifici». Non basta compiere certe opere religiose. Se anche si moltiplicano le preghiere, ma si vive in modo sbagliato, Dio non ascolta. Per uscire dal vago il brano è molto esplicito. Dice: «Cessate di fare il male, imparate e fare il bene, ricercate la giustizia, soccorrete l’oppresso, rendete giustizia all’orfano, difendete la causa della vedova». Son ben nove gli imperativi che tratteggiano cosa fare, se non si vuol incorrere nell’ipocrisia di una fede che allontana dalla realtà. A leggere in successione le opere da compiere, si scopre che la giustizia coincide con l’attenzione ai più deboli: gli oppressi, gli orfani, le vedove. Erano queste le tre categorie sociali esposte alla sopraffazione e al disinteresse. Esistono ancora questi scarti umani? Assolutamente si! Anche oggi, perfino tra i ragazzi, c’è la tendenza a scartare. Qualche volta ci si accanisce contro quelli che sembrano oppressi dalla sorte. Spesso si identificano i malcapitati come “jellati” e si finisce per erigere un muro contro di loro. Altre volte ci si coalizza contro quelli che non hanno protezione alcuna e si fa di tutto per escluderli. Per non parlare delle volte in cui ci si diverte a mettere in ridicolo chi è privo di copertura e si arriva fino ad inneggiare alla morte in rete, come in recenti fatti di cronaca.

Ma fortunatamente Ezechiele annuncia una metamorfosi. Non è frutto del nostro sforzo. Ma si tratta di una nuova creazione che Dio stesso attua, se lasciamo entrare in noi il suo spirito. Allora il cuore di pietra diventa di carne. Quando accade? Quando ritroviamo la capacità di intenerirci delle sofferenze altrui, quando sentiamo come nostro il dolore degli altri, quando ci prendiamo a cuore i problemi degli altri. Mi ha colpito di recente la figura di don Minozzi. Nato a Petra, un piccolo borgo di Amatrice, nel secolo scorso ha inventato forme geniali per stare accanto ai più deboli. Come quando, durante la prima guerra mondiale, si inventò, da cappellano militare, le “bibliotechine” per i soldati che vivevano in condizioni subumane in attesa della morte certa sui campi di battaglia. Riuscì così ad introdurre un guizzo di umanità dentro uno spaccato selvaggio e disperato. O quando, dopo la prima guerra mondiale, istituì nel centro sud d’Italia, proprio a partire da Amatrice, case di accoglienza per orfani di guerra. Quando la fede è genuina non può che tradursi in opere concrete!

Una domanda vale anche per gli adolescenti, stregati dalla tecnologia, ma con il cuore di sempre, che può essere di pietra, chiuso e indifferente, oppure di carne, aperto e coinvolto. La domanda è: ho mai provato che c’è più gioia nel dare che nel ricevere? Più gioia nel sacrificarsi che nel divertirsi alle spalle degli altri?

La preghiera che possiamo fare è – dopo aver confessato il nostro peccato – quella che la sapienza biblica esprime così: «Custodisci il tuo cuore più di ogni altra cosa, poiché da esso procedono le sorgenti della vita» (Proverbi 4,23).