Omelia in occasione della IV domenica di Quaresima

(2 Cr 36,14-16.19-23; Sal 137; Ef 2,4-10; Gv 3, 14-21)
11-03-2018

«In quei giorni, tutti i capi di Giuda, i sacerdoti e il popolo moltiplicarono le loro infedeltà». Il secondo libro delle Cronache – che intende riferirsi alle vicende quotidiane, appunto le cronache – coinvolge nello sfacelo tutti: capi politici, uomini religiosi, gente comune. L’infedeltà è di tutti e porta all’esilio e alla disgregazione. Dio, però, non abbandona mai, neppure nel disastro, e appena scorge un pizzico di ravvedimento apre una nuova strada. E infatti, dopo l’esilio che durò 70 lunghi anni, grazie al re pagano Ciro, si ritorna a casa. Non si fatica a constatare che questa sequenza di infedeltà, esilio, ripresa è anche la nostra. La crisi sociale ed economica che oggi morde ancora è il frutto di una crisi morale latente che ha visto il nostro Paese adagiarsi nel benessere e perdere i suoi riferimenti essenziali (sobrietà, umiltà, solidarietà). Ne è seguito quello che è sotto gli occhi di tutti: disgregazione e senso di abbandono. Ma è possibile riprendersi, a patto che, come Nicodemo, sappiamo farci schiodare dalle nostre presuntuose certezze.

Al vecchio notabile giudeo che va da Gesù di notte, il Maestro dice con chiarezza: «Come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo». L’innalzamento è quello sulla croce, ma anche quello della resurrezione e allude a quello che è necessario per riprendere il cammino. Si richiede di “credere”. Ma che vuol dire? La realtà da credere, accettare e vivere è la croce di Gesù. In altre parole, bisogna credere nell’amore di Dio verso di noi, quell’amore che è apparso in Gesù sulla croce. «Dio, infatti, ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna». Per Dio nulla e nessuno può andare perduto. Questa e non altra è la sua volontà, ben diversa dal Dio che “castiga e condanna”. Al contrario, Egli vuole che «chiunque crede in lui» si ritrovi e abbia la vita in pienezza. C’è, tuttavia, un giudizio che va compreso e non accantonato.

«E il giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno amato più le tenebre che la luce, perché le loro opere erano malvagie». C’è dunque un giudizio, non una condanna preventiva, che va compreso. Ciò suggerisce due cose. La prima è: «chiunque fa il male, odia la luce, e non viene alla luce perché le sue opere non vengano riprovate». Si preferisce il buio perché ci lascia indisturbati, come il ladro di notte. Non basta l’intelligenza per evitare il male: occorre la pulizia del cuore e anche il coraggio di rischiare. La seconda cosa è: «chi fa la verità viene verso la luce». Non conoscere, ma fare, perché la verità di cui Gesù sta parlando non è un completo di idee da imparare, ma un progetto di vita da vivere e costruire.

Le giornate si stanno allungando e la luce ci risveglia e ci riscalda. Senza la luce non si vive e non si cresce. Ad Amatrice una delle condizioni più tristi è il buio che avvolge le Sae. C’è bisogno di luce che è una energia invisibile e vitale. Per questo, come Goethe in punto di morte, imploriamo: «Più luce! Più luce!». Infatti, si può facilmente perdonare ad un bambino che ha paura del buio; la vera tragedia della vita è quando gli uomini hanno paura della luce (Platone).