Omelia in occasione della III Domenica di Pasqua

(At 3,13-15.17-19; Sal 4; 1 Gv 2,1-5a; Lc 24, 35-48)
15-04-2018

«Avete rinnegato il Santo e il Giusto, e avete chiesto che vi fosse graziato un assassino». Pietro, senza peli sulla lingua, si rivolge non ai pagani, ma a quei credenti che per ignoranza hanno messo in croce l’autore della vita. Il riferimento a Barabba preferito a Gesù è trasparente e lascia intendere che non si può abbandonare Dio senza aver scelto un suo surrogato. La vera distinzione non è tra credenti e non credenti, ma tra chi crede in Dio e chi crede in qualcos’altro. Che sia il denaro, il potere, la tecnica, è del tutto secondario. La predicazione infuocata dell’Apostolo, però, più che essere un atto di accusa contro gli ebrei è piuttosto l’invito a prendere coscienza della cecità in cui siamo immersi e che impedisce di vedere le cose per quelle che sono e di distinguere il vero dal falso. Di qui l’invito: «Convertitevi dunque e cambiate vita». Per interrompere la sequenza di ingiustizie che seminano morte non basta rassegnarsi all’evidenza dei fatti, ma occorre comprendere quel che aggiunge a proposito di Gesù Cristo crocifisso: «Ma Dio l’ha risuscitato dai morti». Come a dire che c’è qualcosa di nuovo per cui la croce non è più il segno del fallimento ma quello di una nuova vita che si fonda non sulle arme dei vincitori, ma sulle opere dei giusti.

Vien da chiedersi, quali sono i segni che ci assicurano di aver scelto Dio e di essere in comunione con Lui. Proprio la seconda pagina ci offre il criterio discriminante. Bisogna guardarsi da quelli che dicono di conoscerLo, ma non osservano i suoi comandamenti. C’è in giro anche oggi gente che crede di credere perché pensa alla fede come una fuga dalla realtà in cui trovare pace, serenità, riposo. Ma questa forma di conoscenza è falsa se isola dal mondo e allontana dalle persone. Perciò la prova del nove della conoscenza di Dio è quanto siamo disposti a fare per cambiare il mondo in cui ci troviamo. Non il mondo grande, ma quello piccolo con cui interagiamo ogni giorno.

«Di questo voi siete testimoni». I discepoli persistono nel dubbio, nell’incertezza, nella paura anche durante l’incontro con il Risorto che scambiano per un fantasma. Ma pazientemente il Maestro che è quello di prima ma non più lo stesso, fa comprendere che il suo non è stato un fallimento, ma un progetto compiuto. Di qui l’impegno ora di testimoniarlo. Serve gente che non stia tanto a declamare valori e principi come nel talk televisivi dove si fanno delle grandi guerre di parole. Ma semplicemente manifestino nella loro esperienza di ogni giorno la pazienza, la mitezza, il perdono, la preghiera. Basterà che se ne trovi anche uno solo che viva così per rendere ancora oggi credibile il kerigma: «Cristo è morto e risorto!».