Omelia in occasione della III domenica di Avvento

(Is 61,1-2a.10-11; Sal da Lc 1,46-54¸1 Ts 5,16-24; Gv 1,6-8.19-28)
13-12-2020

«Che cosa dici di te stesso?». È interessante notare che il vangelo di Giovanni non presenta il Battista come il precursore, ma come il testimone, quasi una freccia in direzione di Gesù, salvo poi immediatamente scomparire. Ma, anzitutto, il testimone rende ragione della sua vita. Prima che credenti, bisogna essere uomini e donne, responsabili. Capaci cioè di accettare le sfide del quotidiano, senza ritagliarsi uno spazio protetto. In questo tempo di pandemia chi lavora nella sanità e negli spazi della cura vive obiettivamente uno stress ulteriore, da cui non può scappare. Di qui la gratitudine per quanti mettono se stessi in gioco nel lavoro prima ancora che nelle proprie convinzioni.

«Io non sono». Per ben tre volte il Battista – e non certo per mancanza di autostima – si definisce in negativo. Chiarisce così che non è il Messia e, tuttavia, si rapporta a Cristo con chiarezza perché sa che Lui lo segue e lo precede. Così questo uomo rude e pratico mostra dove passa la gioia, pur in mezzo alle avversità. La prima strada è l’accettazione del posto che ci è dato, dei compiti assegnatici, senza fuggire nel regno della depressione o della presunzione. Al tempo stesso la strada della gioia ha a che fare con la relazione aperta ad altro, rispetto a sé stesso. Il Battista, non si concepisce come fosse il centro o l’ombelico, ma parte di un processo, cioè di una storia molto più grande, che va vissuta sentendosi parte di uno sviluppo che non comincia e non finisce con noi.

Da ciò può nascere, dunque, quella gioia che trapela dalla parola di Isaia come da quella dell’Apostolo. La gioia di Isaia: «Come la terra produce i suoi germogli e come un giardino fa germogliare i suoi semi, così il Signore Dio farà germogliare la giustizia». Si parte sempre dal concreto, rimuovendo situazioni sbagliate e lavorando per migliorare lo standard di vita. La gioia di Paolo: «Siate sempre lieti, …vagliate ogni cosa e tenete ciò che è buono. Astenetevi da ogni male». La concretezza si manifesta anche a partire da quelle piccole scelte quotidiane che ci fanno partecipi del bene e non complici del male.

La fede resta la luce che illumina sempre, specialmente nelle condizioni di oscurità. Come si ricava da una celebre preghiera del cardinale e beato Newman, scritta mentre trovandosi da giovane in Sicilia, deve affrontare una difficile traversata sul mare in tempesta:

Conducimi tu, luce gentile
conducimi nel buio che mi stringe;
la notte è scura la casa è lontana,
conducimi tu, luce gentile.

Tu guida i miei passi, luce gentile
non chiedo di vedere assai lontano
mi basta un passo solo il primo passo
conducimi avanti luce gentile.

Non sempre fu così, te ne pregai
perché tu mi guidassi e conducessi
da me la mia strada io volli vedere
adesso tu mi guidi luce gentile.

Io volli certezze dimentica quei giorni,
purché l’amore tuo non m’abbandoni
finché la notte passi, tu mi guiderai,
sicuramente a te luce gentile.

Conducimi tu, luce gentile
conducimi nel buio che mi stringe;
la notte è scura la casa è lontana,
conducimi tu, luce gentile.