Omelia in occasione della donazione e collocazione dell’opera «Resurrezione» di Alessandro Kokocinski

Venerdì della XXIX settimana del Tempo ordinario, anno dispari (Rom 7, 18-25; Sal 118; Lc 12, 54-59)
24-10-2015

«Chi mi libererà da questo corpo votato alla morte?». Paolo nella celebre lettera ai Romani si stacca dalla semplice osservanza della legge, per mostrare che il problema del male va al di là dell’osservanza delle norme. Lui sebbene giudeo e intransigente ha scoperto, infatti, che c’è una strana condizione nell’uomo di sempre: «C’è in me il desiderio del bene, ma non la capacità di attuarlo; infatti io non compio il bene che voglio, ma il male che non voglio». Non è forse vero che anche noi siamo segnati da questa schizofrenia per cui desideriamo essere in un modo ma poi soccombiamo al male? Come dire che non basta la semplice coscienza o conoscenza per andare verso il bene. C’è una dinamica più complessa, in cui entra in gioco la libertà, che può complicare tutto. Si può anche acconsentire al bene nell’intimo, ma poi avere «il male accanto sé».

Si comprende l’esclamazione drammatica di Paolo: «Sono uno sventurato! Chi mi libererà da questo corpo votato alla morte?». Il corpo non è semplicemente il fisico ma è il simbolo di questa legge di gravità che ci spinge sempre in basso, anche se desideriamo di salire in alto. Questa domanda sembra non avere risposta. Ma è anzitutto una constatazione: da soli non siamo capaci di fare il bene, pur avvertendolo. Così l’idea che conoscere è sufficiente per non sbagliare è falsa. Ma ancor più è falso pensare di riuscire da soli a diventare buoni, con uno sforzo di buona volontà.

È quanto fraintendono anche i contemporanei di Gesù, che non si rendono conto che solo il Messia, cioè Lui, è in grado di dipanare la matassa del cuore umano. Per questo li sfida. «Ipocriti! Sapete valutare l’aspetto della terra e del cielo; come mai questo tempo non sapete valutarlo? E perché non giudicate voi stessi ciò che è giusto?». E facendo riferimento a chi si accorda con l’avversario per attenuare eventuali ricadute economiche e giuridiche, sembra voler dire che l’ accortezza richiede di valutare con attenzione la sua persona, perché si gioca in essa la partita decisiva. Le parole di Gesù sono dirette e quasi sconfortate, ma attestano che solo in Lui si può sperare di ritrovare la salvezza.

«Chi mi libererà da questo corpo votato alla morte?». La risposta di Gesù sarà compiutamente definita solo grazie alla pasqua di morte e di risurrezione. Non l’una senza l’altra. Per questo l’opera di Kokocinski è preziosa: perché attira l’attenzione su ciò che è decisivo nella fede cristiana. Solo la resurrezione illumina di senso la passione e non è pensabile una croce senza resurrezione, come del resto una resurrezione senza croce. L’uomo Gesù, che nell’attimo della resurrezione l’artista sembra evocare più che descrivere, è il «segno» che va sempre di nuovo compreso, se si vuol comprendere l’urgenza di convertirsi a Dio. Lui solo è capace di cambiare il cuore dell’uomo confuso e malato. Lui solo è in grado di restituirgli vita e vitalità.

Ogni vero artista ha sempre tra le sue opere la Crocifissione e, più di rado, la Risurrezione. Se la prima colpisce per l’intenso e crudo realismo, la seconda impressiona per la straordinaria visionarietà. Per una forza che viene dal di fuori di sé, il corpo di Gesù diventa e si trasforma in altro. E’ il dono dello Spirito. «Siano rese grazie a Gesù Cristo», dice San Paolo, perché solo grazie a Lui la vita torna dove era assente o debole o minacciata. E invita a sperare anche nella nostra resurrezione.